Well B Lab - Idee nuove per contare di più. E uscire dalla crisi
- Le politiche al femminile cominciano ad apparire un lusso rispetto alla drammaticità della crisi. Non basta che ci siano più donne nelle posizioni di potere. Occorrono nuove idee e contenuti
Badalassi Giovanna Domenica, 28/12/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2015
Come donne possiamo continuare a parlare di conciliazione tra famiglia e lavoro quando il problema principale (di donne e uomini) è oggi quello di averlo e di mantenerlo, il lavoro? Possiamo chiedere più asili nido, quando la priorità è sempre quella del lavoro? Oppure ragionare di assistenza agli anziani quando i Comuni hanno le casse vuote? Parlare di Welfare aziendale quando le aziende sono strangolate dall’impossibilità di accesso al credito? Promuovere i tempi e orari delle città, la vivibilità urbana e la mobilità quando la crisi economica delle famiglie impone ben altre priorità? Possiamo chiedere di investire nell’imprenditoria femminile quando non ci sono soldi per investire in alcunché?
Al momento, tutte le politiche “tradizionali” rivolte al femminile e per il benessere della collettività appaiono un lusso per il nostro paese, tutto viene travolto dalle politiche per l’austerity e la conseguente urgenza economica e lavorativa.
Nasce quindi la necessità di una profonda riflessione su come rimodulare l’impegno delle donne per migliorare questo paese: si dovranno abbandonare i vecchi temi, che rimangono comunque sacrosanti, per abbracciarne di nuovi, più consoni ai problemi di questi tempi? Insistere sulla bontà di quelli vecchi che prima o poi ritorneranno attuali? Fare un compromesso?
Una prima risposta l’ha già data la politica, che in modo bipartisan e nell’arco di più governi e diverse maggioranze ha tagliato drasticamente negli ultimi 10 anni le risorse nazionali per tutti questi temi. Non ci sono infatti più risorse per la conciliazione famiglia-lavoro (L.53/2000), per l’imprenditoria femminile (L. 215/92), per le azioni positive (L. 125/91), per i diritti e le opportunità dell’infanzia (L.285/91). I fondi nazionali per il welfare (Fondo Pari opportunità, Politiche giovanili, Infanzia e Adolescenza, Politiche sociali, non autosufficienza, Immigrazione e Servizio Civile) sono complessivamente passati da 1.874,6 milioni di euro nel 2008 a 225,9 milioni di euro nel 2013. Le risorse per gli asili nido nel Fondo nazionale per la Famiglia sono passate da 348 milioni del 2007 a 10,9 nel 2012.
Anche se le risorse dell’Unione Europea e degli Enti Locali hanno in parte sopperito a questa riduzione, si coglie chiaramente il messaggio di un forte ridimensionamento da parte dello Stato del sistema di welfare, che viene così delegato alle famiglie (soprattutto alle donne) e al terzo settore e ai privati (dove, guarda caso, lavorano quasi tutte donne) e solo per le famiglie che se lo possono ancora permettere. Per onestà va ricordato che la riduzione dell’impegno pubblico nel sistema del welfare fa parte sia di una complessiva riduzione della spesa pubblica nazionale che di una tendenza che si può osservare anche in altri paesi europei, ma questo non cambia la sostanza delle cose. Sono soprattutto donne i soggetti sui quali si stanno scaricando le carenze del nostro sistema di welfare riguardo alla cura di bambini e anziani. Quali saranno le conseguenze sulle loro possibilità occupazionali? Il carico di responsabilità delle donne nel welfare familiare è destinato ad aumentare con il crescente invecchiamento della popolazione. Secondo l’Istat nel 1971 il carico di cura (bambini 0-4 anni e anziani over 75 ogni 100 donne in età 15-64 anni) era di 36,92, e nel 2011 è salito a 45,04, la stima attuale è che arriverà entro il 2021 a 49,24.
Pare evidente che occorre affrontare l’aggravarsi di problemi già conosciuti con nuovi strumenti, nuove prospettive e proposte, che sappiano prendere atto di una realtà completamente diversa rispetto a pochi anni fa, ma soprattutto che aprano l’orizzonte politico e sociale della partecipazione delle donne al destino di questo paese. Se una volta, infatti, ci si poteva concentrare solo su alcuni argomenti identitari e specifici per le donne, perché in qualche modo il contesto reggeva, oggi è la stessa cornice sociale ed economica generale che si sta sgretolando. E anche le donne devono prendere parte attiva e consapevole alla ricostruzione di questa cornice, senza però abbandonare i vecchi temi il cui valore rimane inalterato. Un complesso esercizio di equilibrismo che va portato avanti con strategie chiare, partecipate e condivise da tutti i soggetti che hanno a cuore le politiche al femminile. Lo sviluppo degli avvenimenti impone che le donne si impegnino su politiche a tutto campo, che ragionino anche di economia, sviluppo economico, di innovazione, politiche industriali, ambiente, contribuendo alla ricostruzione del benessere per tutti.
L’impostazione del gender mainstreaming, trattato con una certa diffidenza nel dibattito nazionale, si rivela così più urgente che mai. Il paradosso del disimpegno dello stato dal Welfare è che avviene nel momento in cui la rappresentanza femminile in Italia non è mai stata così alta in tutta la storia del paese. Come mostra l’evidenza empirica, non è quindi sufficiente avere più donne elette e nelle posizioni di potere. Sono indispensabili nuovi contenuti, idee e linee politiche. Per realizzare nuove proposte occorrono nuove forme di aggregazione femminile, nuovi strumenti, ma anche nuove capacità. Capire, ad esempio, la portata e l’importanza di leggere l’economia e i conti pubblici in ottica di genere, avere le competenze per farlo ed elaborare proposte e politiche conseguenti. Saper leggere in ottica di genere un piano regolatore comunale, l’impatto occupazionale dei piani delle grandi opere e dei lavori pubblici, le scelte di politica fiscale, industriale e ambientale. Esistono già gruppi e associazioni che si impegnano su tali fronti, ma occorre un impegno collettivo che indirizzi verso una maggiore condivisione e diffusione tali approcci. Siamo quindi tutte chiamate ad uno scatto di crescita, in ogni direzione. La crisi è sicuramente un momento di difficoltà e di sofferenza generale. Ma, anche un’occasione per rinnovarsi e rigenerarsi, elaborando nuove risposte per il benessere di tutti. Sarebbe un vero peccato mancarla.
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