Venerdi, 12/10/2012 - Ci vorrebbero decine di migliaia di caratteri per descrivere quanto è emerso dal convegno bolognese dedicato al Welfare, promosso dalla Fondazione Altobelli, insieme all’Università di Bologna e alla Fondazione Di Vittorio.
“Temi di cui parlare con calma e sangue freddo”, come sottolinea Anna Salfi, Presidente della Fondazione Altobelli, ideatrice del convegno, quelli affrontati in aula Prodi nella facoltà di scienze storiche. “Per trovare i tempi e i toni che consentano un’analisi attenta delle condizioni socio politiche che hanno determinato l’evoluzione del mutualismo sino alle conquiste del welfare state. Così come serve analizzare e ricordare il percorso politico e rivendicativo che ci ha condotto a quello di cui oggi tutti usufruiamo anche se con crescente difficoltà.
Ma ci è particolarmente utile per l’importanza che oggi riveste la capacità di formulare una compiuta strategia di innovazione e far prendere forma a quello che può definirsi un pensiero “lungo”.
Il convegno, che ha visto la partecipazione di un nutrito panel di accademici, ha offerto un’analisi in lungo e in largo del percorso storico che va dalla nascita delle società di Mutuo Soccorso al Welfare State, consentendo di muoversi in un vasto campo di conoscenza critica, nell’intento di dare risposte alla crisi del welfare e decidere quale modello perseguire.
Due giorni di riflessione per contrastare risposte “compulsive” determinate da eventi di natura eccezionale, scenari politici mancanti di una visione lunga, che incidono in maniera definitiva sulla vita, il lavoro e le aspettative delle cittadine e dei cittadini, che: “Mettendo mano al Welfare, come è successo negli ultimi venti anni, hanno fatto si che le risorse fossero sempre meno”, cosi ha energicamente affermato la Prof. Vera Zamagni” Queste scelte, plus la corruzione, e non solo la crisi finanziaria, hanno inciso negativamente sullo sviluppo del welfare.”
Lo sguardo analitico e puntuale sul passato quale viatico indispensabile per agire su un presente che pensi ad uno sviluppo tout court di lunga visione. Cosa è sopravvissuto dell’origine del welfare in termini di proposte, di idee, di modelli organizzativi? Quali sono ancora validi e come fronteggiare i rischi di disuguaglianze che fanno vacillare i grandi sistemi democratici? Interrogativi indispensabili per muoversi criticamente nella definizione di una proposta di riprogettazione del Welfare state..
Il presupposto è che il Welfare sia diritto e non concessione. Volano di sviluppo e di crescita, e non relativo alle sole epoche economicamente fiorenti.
Oggi più che mai è indispensabile ragionare sulle categorie di valore. Di che welfare vogliamo vivere? Siamo ancora in grado di produrre innovazioni sociali che coniughino sostenibilità economica e democrazia?
Sono alcune delle questioni scaturite dal convegno e poste sul tavolo del successivo dibattito calato nel presente, da Marina Caleffi, che lo ha moderato.
“Questioni urgenti - precisa Vincenzo Colla, Segretario generale CGIL Emilia Romagna - perché siamo di fronte al più grande attacco contemporaneo dello stato dei diritti di Welfare. E per restare in Regione,la sfida e allo spessore dei problemi, oggi rende complicato parlare ancora di un modello Emilia Romagna.”
Tagliare sul welfare significa tagliare il futuro: ”Quando si taglia l’istruzione, la cura alla persona, la sanità - avverte Marina Balestrieri, Segretaria generale Funzione Pubblica Emilia Romagna - si attacca anche la coesione sociale”. L’attacco al welfare si innesta su quello teso ad indebolire sempre di più il pubblico. ”Da noi il controllo pubblico ci ha permesso invece di dare più servizi, abbiamo provato ad integrare per dare risposte più efficaci ed efficienti, i nostri, altro che “fannulloni”, sono quelli che hanno dato e stanno dando un servizio pubblico a tutte le comunità terremotate che ancora stanno lottando.”
Molte dunque le keywords sul tavolo, tra le quali la popolazione anziana in aumento, le pensioni, l’assistenza sanitaria: ”I tagli lineari sono inaccettabili - afferma Maurizio Fabbri Segretario generale SPI Emilia Romagna – quest’accanimento ha come unico obiettivo la privatizzazione. Intorno a sanità e sociale c’è il grande business. Il modello che sta prendendo piede è quello di stampo anglosassone, in altre parole caritatevole. Noi dobbiamo guardare ad un welfare sostenibile con tasse eque e pagate da tutti.”
Impossibile parlare di welfare e di futuro senza che il dibattito abbia posto concretamente il problema di una generazione che resta esclusa dal welfare. La cosiddetta “questione giovanile”, abusato grimaldello elettorale, è carne viva che reclama tutta l’attenzione e l’impegno possibile “Mi sembra che la discussione anche all'interno del sindacato si sia un po' incartata su questo punto: cambiare il welfare o cambiare il lavoro - ammonisce Lisa Dorigatti, Rete giovani Cgil Emilia Romagna - sicuramente va cambiato il lavoro, la precarietà dilagante non può essere assunta come un elemento naturale del nostro contesto sociale, da curare semplicemente attraverso qualche toppa welfaristica, ma non si può nemmeno evitare di affrontare il problema finché non si sia cambiato il lavoro. Oltretutto, garantire continuità di reddito e sostegni economici ai giovani lavoratori precari può essere uno degli strumenti attraverso cui si cambia anche il lavoro, perché riduce il ricatto cui i giovani e precari sono costantemente esposti.”
Un bell’assist per il prossimo convegno nazionale Cgil, l’argomento è ineludibile. Il sindacato rischia altrimenti di essere percepito dalle giovani generazioni come ininfluente per le loro condizioni di vita e di lavoro.
"Uomini e donne, di tutte le età,per la piena parità dei quali la Commissione consiliare che presiedo lavora indefessa - spiega Roberta Mori -. Le politiche di genere possono e devono rappresentare un impulso ulteriore al sistema dei diritti e del welfare, delineando un profilo di identità molto precisa alla comunità. L’Emilia Romagna è l’unica regione che ha creato una commissione consiliare sulle tematiche di parità, per rimuovere ogni discriminazione ed ogni forma di disuguaglianza. Un avamposto istituzionale e politico che ci auguriamo non sia messo in pericolo da tagli poco etici.”
La democrazia passa dal welfare, anzi è welfare. Quando questo è etico, solido e solidale.
“Ognuno dentro la crisi deve trovare un modo di salvarsi. E nessuno può salvarsi da solo - afferma Vera Lamonica Cgil nazionale -. Oggi chi è povero è “colpevole”, e questo è inaccettabile. Come lo è sentir parlare di lavoratori che meritano o non meritano una risposta. E’ urgente porre la questione in termini di democrazia, partecipazione e organizzazione dei bisogni sociali. ”La democrazia è comunità di destini, e se c’è una possibilità di superare vivi questo guado è quella di essere coesi, collettivi.
“Un welfare per bene, non taglia chirurgicamente alcuni i diritti fondamentali, come per esempio quelli che consentono ai lavoratori con familiare disabile di assisterlo. Questo non è welfare!- afferma Teresa Marzocchi, Assessora regionale alle Politiche Sociali Emilia Romagna che, nelle more, si augura una coesione dei territori per contrastare le politiche governative che minano ogni percorso possibile, che tolgono, oltre ai soldi, anche le norme giuridiche che permettono la funzionalità dei servizi pubblici, che spingono verso una politica dove il pubblico non ha più le sue soluzioni, dove le politiche sociali devono essere gestite in esternalizzazione. “L’Emilia Romagna, - ha sottolineto Teresa Marzocchi - dove si è lavorato tutti insieme per non tagliare il fondo sociale ai cittadini, per il patto di solidarietà e di responsabilità con gli stessi, dove si è messo tutto, compreso il volontariato, la forza, la disponibilità, non vuole rinunciare alla possibilità di gestire e programmare il proprio lavoro”.
La storia insegna, se non c’è welfare non c’è democrazia.
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