Mondo/ Intervista a Luisa Morgantini - Il cammino dell’Afghanistan verso la democrazia, il voto del 18 settembre e le donne ancora in burqa
Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2005
Il 18 settembre l’Afghanistan affronta le elezioni politiche. Bruxelles, su richiesta dello stesso governo afghano, ha inviato a luglio il gruppo di coordinamento con l’obiettivo di fare osservazione elettorale e capire la situazione, i livelli di sicurezza e i cambiamenti in atto. Luisa Morgantini era nella delegazione e si appresta a tornare a Kabul per essere presente nei giorni delle votazioni e dello spoglio.
Onorevole, lei conosce quel Paese per averlo visitato molte volte negli ultimi anni. Come sta andando il processo di democratizzazione?
E’ perfino banale dirlo, ma le cose sono estremamente complicate. Dopo quattro anni dalla sconfitta dei Taliban e dall’invasione degli Stati Uniti cambiamenti ve ne sono, e molti. Certamente non sono sufficienti e il cammino per raggiungere l’idea che noi abbiamo di democrazia e di sviluppo sarà ancora lungo. Però sarebbe sbagliato dire che nulla è cambiato.
Cosa è cambiato?
Intanto è stata varata una Costituzione che tutto sommato è una carta aperta, diversa rispetto a qualsiasi altro stato islamico. Certo non ancora applicata, ma è un inizio. Poi sono state costruite opere, infrastrutture e non solo a Kabul. Però la ricostruzione va a rilento, c’è molta corruzione e la delinquenza comune è in crescita. La comunità internazionale è molto criticata per aver rivolto le proprie attenzioni altrove. I grandi accusati sono in primis gli Stati Uniti, che hanno trasferito in Iraq risorse e purtroppo distruzione e morte.
Per le donne cominciano ad esserci cambiamenti positivi?
Non è applicata la sharia e sono sanciti diritti per le donne, ma è ovvio che la loro condizione è lungi dal poter essere definita accettabile. E’ una società patriarcale e anche molto violenta che ancora umilia le donne, considerate praticamente degli oggetti. A parte alcune élites, dunque, la situazione sostanzialmente non è cambiata. C’è ancora troppa miseria e le donne, quotidianamente impegnate per la sopravvivenza, faticano ad organizzarsi per i loro pieni diritti.
Infatti le immagini che arrivano mostrano ancora fantasmi azzurri...
Ma la questione non è solo il burqa. Le resistenze al cambiamento sono molte. In alcune situazioni le donne che osano toglierlo o provano a lavorare sono attaccate dai fondamentalisti o dalla stessa famiglia. Per esempio oggi molte candidate si sono ritirate per aver subito abusi dai familiari o altre intimidazioni. Ci vorranno anni e anni per superare questa situazione.
Allora aver cacciato i Taliban non è servito a nulla?
Dobbiamo apprezzare il fatto che oggi tutte le ragazze vanno a scuola e che le donne siano tornate all’università. Questo è molto importante. D’altra parte è assurdo pensare che dopo trenta anni di guerre, invasioni e fondamentalismi la situazione possa cambiare facilmente. Quello che occorre capire oggi è se la tendenza in atto è quella di modificare o di continuare un sistema non solo patriarcale, ma anche di ingiustizie sociali molto forti. Tra le donne c’è una maggiore consapevolezza di sé, le ragazze cominciano a lavorare e molte non portano il burqa, c’è stata un’apertura sul mondo, ci sono corsi di ogni tipo. Certo è che alcuni ministri e governatori sono parte del sistema dei signori della guerra.
Le elezioni parlamentari del 18 settembre sono importanti in questo processo?
Le premesse non sono le migliori anche se sarà indubbiamente un passo avanti verso la democrazia. Tra i 5.800 candidati si sono inseriti anche tanti signori della guerra o responsabili di crimini commessi in questi anni. Si teme che elezioni si svolgano sotto attacco dei Taliban. Certo sarà una campagna elettorale molto conflittuale e anche gli osservatori presenti faranno fatica a svolgere il loro ruolo perché la questione non sarà il controllo del come si vota o l’uso dell’inchiostro. Il problema è al livello precedente, sugli abusi, sui ricatti o sulle intimidazioni che le persone subiscono da parte di candidati pronti a tutto, basta pensare che la commissione elettorale preposta al controllo ne ha respinti solo 17 perché avevano commesso crimini o disponevano di armi, mi sembrano molto pochi rispetto a quelli che dovevano essere cacciati.
C’è un’italiana a capo della commissione internazionale che controllerà il corretto svolgimento delle elezioni.
Sì, è Emma Bonino e sono contenta di questo suo ruolo. Non condivido il suo liberismo economico né il sostegno alle guerre, però le riconosco che è una persona di grande valore e sono felice di questa sua responsabilità, so che saprà farne un uso critico e positivo.
La popolazione come attende questo appuntamento?
Gli afghani vogliono votare ed si rendono conto che vivono una grande sfida. Certo alcune realtà, come l’associazione di donne Rawa, hanno il timore, giustificato, di esporsi come organizzazione ma appoggiano alcune loro candidate e candidati. Il punto è che quel Paese in questi trenta anni ha perso molta parte della sua intelligenza, espatriata o uccisa, e che si sta riformando con molta fatica. Ho l’impressione che il presidente Karzai cerchi di scrollarsi di dosso l’egemonia degli Stati Uniti, ma certo rimane ancora un uomo che non intraprende troppe rotture con le etnie e la legge tribale, ancora molto potente. E’ una società gerarchica e violenta dove non esiste una coscienza del diritto di cittadinanza e dove funzionano i sistemi familiari, al di là della ricchezza culturale, della dolcezza del popolo e del fatto che, occorre ricordarlo, nel 1928 le donne avevano già ottenuto il diritto al voto.
Vista dall’Italia la situazione sembra nel complesso molto a rischio.
E’ differenziata. Ad esempio le zone Pashtun sono praticamente in guerra con le truppe Usa che entrano nelle case terrorizzando le donne ed i bambini per la ricerca di terroristi. Invece a Kabul la vita scorre abbastanza normalmente. Chi vive asserragliato sono gli stranieri che, anche dopo il rapimento della Cantoni, non scendono neanche più in strada e non hanno contatti con la popolazione. Ma l’impressione è che ad alimentare il clima di pericolosità siano gli stessi contractors, aziende che affittano guardie del corpo agli occidentali ma anche alle famiglie afghane più facoltose. Ho ricevuto un’ottima impressione ad esempio visitando le zone Herat e Bamyan. In quest’ultima provincia è governatrice Habiba Sorabi, amica delle Donne in Nero che è già stata ministra. Ho potuto verificare come sia rispettata in occasione di un’assemblea con i saggi e con lei ho visitato alcune scuole dove ragazzi e ragazze sono nelle stesse classi.
Come l’Occidente può aiutare concretamente l’Afghanistan?
Sia gli aiuti internazionali che le collaborazioni con le ong sono importantissimi. I governi devono svolgere le funzioni di aiuto, ma è fondamentale che ci siano relazioni con le organizzazioni non governative con l’avvertenza che, però, quelle locali devono essere protagoniste per evitare atteggiamenti –anche involontariamente- di tipo neocoloniale. Occorre rispettare e dare valore alle realtà locali, ma anche distinguere quali sono le ong e quali invece normali imprese che fanno profitti. Gran parte dell’economia afghana si basa sul commercio dell’oppio, bisogna sapere offrire alternative economiche.
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