Già una sola delle due nomine sarebbe stato un bel botto, la doppia abbinata è un colpo di scena che si ricorderà.
Molte però, stanno già storcendo il naso:
le due sono infatti dei bei falchetti, regine dell’austerity che per raggiungere questo livello sono dovute diventare più brave di tanti uomini, sfidandoli nel loro campo e dovendo quindi essere molto spesso più realiste del re. Sono, insomma, delle vere donne di potere.
C’è quindi un po’ l’amarezza nel constatare che siamo ancora lontane da quel modello culturale che vorrebbe le donne in politica portatrici di nuovi valori solidali, con attenzione più alle persone che ai mezzi, cultrici dell’uguaglianza e della giustizia, rispettose dell’ambiente. In poche parole: delle vere femministe di potere.
E qui troviamo tutta l’ambiguità nella quale ci dibattiamo da anni in merito a come debba avvenire la scalata al potere da parte delle donne:
se come sacre vestali dei valori del patriarcato più smaccatamente capitalista, amante di un liberismo sfrenato e autodistruttivo, o se piuttosto come portatrici dei valori rivoluzionari di un matriarcato 4.0, capaci di sfidare un sistema imperante da millenni, imporre nuove priorità, partendo dai più fragili, passando attraverso lo sviluppo umano per arrivare ad un sistema economico più giusto e sostenibile per tutte/i e per l’ambiente.
Ma davvero si pone quindi l’alternativa tra donne solo “di sesso” che giocano con le regole del sistema attuale come e magari anche meglio di molti uomini, e donne anche “di genere”, che questo sistema lo vogliono cambiare, imponendo nuove regole di umanità e solidarietà e portando nell’ambito pubblico quei valori della cura che tanto sono loro familiari?
Le due cose non si escludono a vicenda, ma fanno parte di un processo storico oramai inarrestabile che richiederà però ancora del tempo prima di poterlo vedere compiuto nella sua pienezza.
Oggi siamo infatti in un momento politico contingente che vede contrapposti nella UE il blocco popolare-liberista a quello neosovranista: difficile pensare che in questo contesto la UE avrebbe potuto eleggere un rappresentante di politiche diverse da quelle che ci aspettiamo, uomo o donna che fosse. Meno che meno un/una rappresentante italiano: se qualcuno non se ne fosse accorto, il blocco populista-sovranista avrà anche vinto in Italia ma ha perso nel Parlamento UE, dove rappresenta una minoranza all’opposizione.
Mettiamoci quindi l’anima in pace: le due Presidenti tuteleranno gli interessi del blocco franco-tedesco che ha vinto le elezioni coniugandoli quando possibile con quelli della UE, non faranno sconti a nessuno e daranno filo da torcere a tutti e a noi italiani soprattutto, esattamente come avrebbero fatto degli uomini nella loro stessa posizione, forse anche meglio, da brave fuoriclasse quali sono. Potrebbero anche spendersi per qualche iniziativa a favore delle donne, pure con merito e come già hanno fatto in passato, ma non aspettiamoci niente di epocale.
Vediamo però l’aspetto positivo: il fatto che il sistema UE sappia nominare due donne in quelle posizioni ha un valore simbolico enorme, con il quale tutti dovranno fare i conti, anche il nostro Governo.
E’ il riconoscimento definitivo e ufficiale che esistono ai massimi livelli donne capaci tanto quanto gli uomini, niente più scuse su presunte inadeguatezze di alcun tipo.
Un risultato che già di per sé non è niente male per solo un secolo di femminismo e poco più, rispetto ai millenni che ci hanno preceduto, ma che rappresenta anche un punto di arrivo importante per tutta l’Europa, il continente che ha il minore gender gap al mondo, e dove le donne vivono meglio che da qualsiasi altra parte.
Alcune femministe sono quindi già soddisfatte di queste nomine, parità è stata dimostrata, il soffitto di cristallo finalmente infranto. Ad altre questo invece non basta e vorrebbero di più,
ma non possiamo pretendere che siano davvero la Von Der Leyen e la Lagarde a scatenare quella rivoluzione di valori che, anche se nel medio-lungo termine diventerà ineludibile, inevitabilmente dovrà partire dalla società, e non certo da nomine di vertice di questo tipo.
Solo quando la società, sia europea che italiana, di fronte all’autodistruzione del capitalismo, avrà infatti maturato effettivamente il bisogno di nuovi valori e di un nuovo ordine sociale ed economico, si riuscirà finalmente a produrre anche delle politiche diverse, più umane e alte. E state sicure che allora, ma soltanto allora, usciranno all’improvviso, magari a sopresa come oggi, le tanto attese, e sospirate, femministe di potere.
Quindi, care, intanto incassiamo questo risultato, ma, se davvero vogliamo qualcosa di più, rimbocchiamoci le maniche per cambiare prima il sistema dal basso, soprattutto noi italiane.
Articolo di Giovanna Badalassi pubblicato il 2 luglio 2019 in Ladynomics
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