Il pane e le rose - Tra famiglia e carriera, le donne non scelgono e cercano di tenere tutto insieme. La fatica e le soddisfazioni sono doppie, ma il potere al femminile è tutta un’altra cosa
Luisa Adani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2008
Non so a voi, ma ha me ha commosso la fotografia del ministro spagnolo Carmen Chacon che saluta le truppe a Herat. Mi ha commosso molto, di primo acchito. Poi ci ho ripensato e ci penso ancora: è un successo oppure una sconfitta? Poi, e credo di aver trovato la soluzione, mi rispondo: è un successo se è quello a cui Carmen Chacon puntava. Forse è importante sdoganare il termine carriera e riattraversarlo con serenità. Infatti, certamente la carriera nella sua accezione legata al potere e alla prevaricazione non mi pare qualcosa a cui tendere, uomini o donne che si sia. Vorrei però che ogni donna potesse liberamente e serenamente, se desidera, darsi da fare per infrangere il soffitto di vetro di consuetudini (consce e inconsce, palesi e nascoste) e di regole che le impediscono di arrivare ai vertici nella vita lavorativa e nella politica. Non vorrei che ancora una volta i pregiudizi su cosa è giusto fare/non fare si insinuino e lavorino dentro ogni donna (e fuori, nella società) impedendole di scegliere. Per un confronto sul termine carriera ho chiesto a tre donne, che posso definire di successo, il loro parere.
Roberta Pellegatta, giornalista e conduttrice di "Job24", programma quotidiano dedicato ai temi del lavoro di Radio 24.
“A mio avviso il termine carriera assume un'accezione negativa solo quando implica un "a tutti i costi" come capita ancora a troppi uomini che sentono il dovere di spendersi e a volte sgomitare per ottenere promozioni non fosse altro per riuscire ad acquisire stima e credibilità nel contesto sociale.
Immagino quanti di loro abbiano sacrificato le vere passioni, le reali inclinazioni in nome di un lavoro solido e promettente, in grado di garantire potere, reputazione, agio. Uno dei nostri pochi vantaggi rispetto ai nostri colleghi credo sia proprio il non dover per forza affermarci nel lavoro per ottenere considerazione nella società. Possiamo decidere di crescere professionalmente soltanto se lo desideriamo, se quello che facciamo davvero ci appassiona, ci realizza. In questo senso quando avanziamo nella nostra attività, sempre che non lo facciamo per pura competizione con il maschio, per emularlo anche nei lati peggiori, siamo più autentiche, più appassionate. Allora ben venga il desiderio femminile di carriera, di raggiungere ruoli di responsabilità e le conseguenti soddisfazioni personali ed economiche”.
Cristina Bombelli, Fondatrice del Laboratorio Armonia della Sda Bocconi e docente dell’Università Bicocca di Milano.
“Il termine carriera visto dal punto di vista organizzativo, significa acquisire posizioni a più ampia decisione sulle risorse. Chi fa carriera quindi, aumenta la possibilità di incidere sul risultato organizzativo, allocando in modo appropriato le risorse e motivando le persone verso lo stesso fine. Eppure nel linguaggio comune, soprattutto dal punto di vista femminile, viene spesso visto come un percorso negativo, che richiede una sorta di collusione con il "potere". Moltissime, invece, sono le donne che hanno scelto la carriera in modo consapevole, con un duplice obiettivo. Innanzitutto quello già citato di avere più "voce in capitolo" e quindi di poter portare il punto di vista femminile
all'interno dei luoghi in cui si decide. Il secondo aspetto che molte donne stanno sperimentando è la crescita professionale connessa alla carriera. Avere compiti a livello di complessità crescente, gestire dei gruppi di lavoro, imparare sempre cose nuove. Capita ancora però, in alcune organizzazioni "malate", molti partiti politici, ad esempio, che carriera sia ancora sinonimo di compromessi e che il percorso porti a "snaturare" le qualità a cui le donne non vorrebbero rinunciare. In questi casi, piuttosto che decidere di non fare carriera, sarebbe meglio
cercare un altra organizzazione più "women friendly" in cui operare”.
Sabina Siniscalchi, ha lavorato a Mani Tese fino al 2002, è stata direttrice della fondazione culturale di Banca Etica dove oggi si occupa di relazioni internazionali. Dal 2006 al 2008 deputata indipendente nel gruppo Rifondazione Comunista, nelle ultime candidata nelle lista per la Sinistra Arcobaleno.
“Conciliare professione e famiglia non è stato facile, ma mi sembra di esserci riuscita. Posso dirlo ora che i quatto figli sono adulti e che l’impegno lavorativo, da quando ho lasciato l’incarico di segretario nazionale di Mani Tese, è diventato meno oneroso. Le chiavi del successo sono molte: un ottimo compagno, presente e attento; il buon carattere dei miei figli che si sono sempre adattati e responsabilizzati presto; il senso innato dell’organizzazione: un’attitudine naturale che ho accresciuto con la sapienza degli incastri; lavorare in una realtà associativa che ha consentito di rispettare le esigenze private senza penalizzare gli impegni pubblici; la complicità e il sostegno dei colleghi, ma soprattutto delle colleghe; la viscerale passione per gli ideali sottesi al mio impegno.
Facendo un bilancio vedo grande fatica e pochi soldi, ma enormi soddisfazioni e, soprattutto, la consapevolezza di avere, come donna, un valore sia umano che professionale. Questo mi ha fatto sentire più solida e più capace degli uomini che in Italia e all’estero svolgevano compiti simili ai miei. Oggi che ho 56 anni il coraggio e l’energia di un tempo si sono stemperati, l’esperienza politica non è stata esaltante: mi sono ritrovata a essere una tessera di un ingranaggio che non potevo controllare, qualche risultato positivo c’è stato, assieme all’apprezzamento dei colleghi anche di altri gruppi politici, ma non è bastato. Sono entrata in politica per sublimare gli ideali a cui ho ispirato quasi tutte le mie scelte, mi sono ritrovata a far parte della “casta”. Il meccanismo non funziona, anche perché le donne sono troppo poche e troppo timide, ma questa è un’altra storia”.
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