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Vogliamo lasciare il baby boom allo straniero?

Vogliamo lasciare il baby boom allo straniero?

Idee - "la maternità è ancora oggi lasciata o alla retorica dei buoni sentimenti o alla libera decisione di darsi un’identità forte come donna e come moglie"

Iori Catia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2009

Nei giorni scorsi il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Arcispedale locale assomigliava più ad una sala di attesa di un consolato che a una divisione clinica di un nosocomio di provincia. Nazionalità tutte diverse. Addirittura plurime: neonati albanesi, marocchini, rumeni e cinesi. E’ la grande sfida dei nostri tempi ma se sia una buona o una cattiva notizia dipenderà da molti fattori, tra cui la responsabilità della società che li andrà ad accogliere. Mettere al mondo dei figli oggi è un segno di radicamento nella vita che insegna qualcosa a noi donne autoctone spesso dilaniate dal desiderio ma anche della quella strana incertezza che avviluppa ogni forma di spontanea decisione. E se essere madri comporta la consapevolezza di generare la vita e non può limitarsi a un puro fatto biologico o a un dettato borghese che s’ha da fare: per avere figli sereni ed equilibrati occorre desiderarli, averne cura, seguirli e lasciarli andare al momento opportuno. Eppure la maternità è ancora oggi lasciata o alla retorica dei buoni sentimenti o alla libera decisione di darsi un’identità forte come donna e come moglie. Trovo che ancora poco si pensi a un puro atto d’amore gratuito ed oblativo. Non perché non se ne abbiano i mezzi. Ma perché il posto di lavoro, l’economia familiare, l’infelicità o l’ambivalenza coniugale depositano su questo sacrosanta fonte di gioia ancestrale una cortina di paure, ostilità e fatiche. Spesso mal tollerate. Per esperienza so che dopo una certa età le puerpere più sincere ammettono di esserne stravolte: sconvolti i ritmi di vita, rovesciati i progetti del futuro. Epperò ci sarà un modo per conciliare l’esperienza più esaltante del mondo con un minimo di libertà personale, il recupero della propria femminilità, la possibilità di conciliarla con un’attività che non sia defenestrante. Insomma che sia un atto di generosa fiducia nel futuro e non come spesso accade una compensazione di un vuoto personale, affettivo od esistenziale. Altrimenti questi piccoli crescono già ingessati da un sacco di insicurezza e di frustrazioni emotive. Figuratevi poi quando a scuola frequentando i loro coetanei immigrato fierissimi di essere al mondo si confrontano con una vitalità primigenia perché del tutto semplice e naturale.



(24 febbraio 2009)

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