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Vivian Maier, la fotografa delle strade

Vivian Maier, la fotografa delle strade

Al Museo d’Arte di Nuoro, dal 10 luglio al 28 Ottobre la prima mostra italiana di Vivian Maier, maestra della street photography del Novecento. L’esposizione è curata da Anne Morin e realizzata in collaborazione con diChroma Photography.

Lunedi, 27/07/2015 -
A vederla riflessa nelle vetrine dei negozi in cui, scattando una foto, Vivian Maier si immortala, il significato del suo sguardo non si coglie con facilità. Solo l’estetica che ne avvolge la figura è subito comprensibile: capelli corti e cappello a falde larghe, il vestito che ne fa una nanny, una bambinaia dell’Upper Class. Se non fosse per la Rolleyflex appesa al collo, dove lavorano le mani nel gesto di preparare l’atto fotografico, Vivian Maier potrebbe essere una qualunque caregiver. Invece, è proprio nella macchina fotografica che sta il preciso segno di una differenza. Lei, Vivian Maier, è il colpo d’occhio della street photography del secolo breve, la maestra della fotografia che si consuma per le strade. New York, Chicago, Los Angeles; i sobborghi, i vicoli e le vite al margine che li abitano, le storie e i volti, sono raccolti da una magistrale capacità del racconto.



Eppure Vivian non mostra mai i suoi scatti. Non ne parla con nessuno, non li sviluppa se non in una piccola parte. E se oggi possiamo osservarli, se si rimane con lo sguardo fisso alle sue immagini, è per una casualità. Uno di quei giri della ruota che, senza alcuna previsione, si ferma e indica il giusto tassello. Apre le giuste porte. E la porta dischiusa è stata quella di una casa d’asta dove John Maloof, classe 1981 figlio di rigattieri, si aggiudica una serie di scatoloni pieni di negativi. Appartengono tutti alla Maier e Maloof, che nel 2007 lavorava al progetto di un libro sui quartieri di Chicago, li acquista tutti per poco meno di quattrocento dollari. Eppure, della fotografa nessun segno. È da qui che Maloof si mette sulle sue tracce – come raccontato nel documentario Alla ricerca di Vivian Maier (Feltrinelli Real Cinema), di cui è autore e direttore della fotografia –, cercando di scoprirne l’identità, i trascorsi, i legami lasciati e quelli interrotti.



Della sua vita ancora si conosce poco. Vivian nasce il primo febbraio del 1926 a New York da padre austro-ungarico e madre francese. Muore a Chicago il 21 aprile 2009. Di mestiere fa la bambinaia, e gira tra New York, Chicago e Los Angeles. Si sposta sempre da sola, il che ne indica una costitutiva volontà di indipendenza. E una naturale riservatezza; come raccontano i bambini di cui è stata la tata, nessuno aveva accesso alle sue stanze, a nessuno Vivian aveva aperto la sua intimità. Nel film documentario, una delle intervistate ricorda come una serratura rendesse inaccessibile a chiunque i suoi spazi. Un’altra, invece, racconta che riuscì a sbirciare oltre la porta lasciata socchiusa: «C’erano pile di giornali quasi fino al soffitto, cose sparse ovunque». Fuori casa, la Maier nasconde la sua identità: risponde evasiva alle domande, dichiarandosi e firmandosi come Meyer o Meier. Non risponde a chi le chiede del suo accento francese o a chi ironizza sul suo aspetto da donna sovietica; passo di lunghe falcate, braccia che si muovono decise ma non pesanti, occhi che guardano lontano.



Lo sguardo da voyeur del destinatario non è assecondato, quindi. Non che sia un male, se è vero che il personaggio spesso non manca di sostituirsi all’artista, finendo per gettare altrove le visioni. Messi in secondo piano i concreti episodi della sua vita, di Vivian rimangono solo le fotografie. Tante, e queste possono bastare per raccontare indirettamente un’esistenza, se è vero che nelle foto c’è sempre qualcosa di chi la foto la scatta. Allora, non si può dire che la Maier limiti se stessa a fotografare solo nel tempo libero. Non è una fotografa alle prime armi – dalla madre, che prima di lei possedeva una macchina, eredita la passione – né è una sprovveduta. Dopo il trasferimento negli Stati Uniti, continua a scrivere allo stampatore francese dei primi tempi. Chiede consigli e informazioni sulle stampe, ricerca un confronto. Ne è possibile definirla come una tradizionale bambinaia, leziosamente chiusa nel ruolo della donna dall’innato istinto materno, che non può che amare i bambini, accudirli.



La Maier è una fotografa accurata; con precisione inquadra e scatta. Sulle pellicole – più di 150.000 negativi, pellicole non sviluppate, filmati in super 8 o 16 millimetri – rimangono i volti delle donne e degli uomini che le si presentano davanti, gli adolescenti, le strade solitarie, i vagoni della metropolitana. Li restituisce la mostra al Museo d’Arte di Nuoro, a cura di Anne Morin, realizzata in collaborazione con diChroma Photography: a partire dai materiali recuperati da Maloof, l’esposizione cerca di disegnare il profilo completo dell’artista soffermandosi sugli elementi chiave della sua poetica. Gli altri, le vite sconosciute dei quartieri poco raccomandabili, gli emarginati diventano il segno di una precisa estetica fotografica, fatta di scene da commedia e da tragedia, di buio e luce. Vivian Maier è una nuova Diane Arbus e Lisette Model. Una scopritrice di vite, una archeologa dei gesti nascosti, una visionaria.

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