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Vivere due vite

Vivere due vite

Antropologia - L’esperienza diretta e la relazione interpersonale sono alla base del lavoro di ricerca di Christine Zuppinger

Mirella Mascellino Lunedi, 01/08/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Agosto 2011

Christine Zuppinger è un'etnologa tedesca, nata in un paese della Baviera e residente da oltre trent'anni a Berlino dove collabora con l'Università. Ha avuto il privilegio di vivere due vite. Prima di laurearsi in antropologia, faceva la farmacista. Ma poiché le sue passioni erano l'antropologia e l'etnologia ha lasciato la professione di farmacista e ha seguito il cuore e l'umana ricerca. In Sicilia viene da anni e attualmente segue uno studio sulla pastorizia.



Mi racconti di te e di come nasce la tua passione per l'etnologia e il mondo della pastorizia?

Sono stata per diverso tempo in Sicilia e, dopo un'intensa ricerca sul campo, ho scritto la mia tesi di laurea sulla Vucciria, l’antico mercato palermitano ricco di tradizioni. In quell'occasione ho scoperto la passione per la fotografia, che inizialmente era stata per me soltanto uno strumento documentale. Ciò mi spinse successivamente a rielaborare i miei risultati di ricerca anche in chiave letteraria. Già allora mi interessava raccogliere la memoria della Pastorizia in Sicilia. Ma non pensavo di riuscire a realizzare questo lavoro. Nel corso della mia ricerca sul campo sulla Vucciria, ero spesso venuta a contatto con il mondo contadino della Sicilia, che produceva quanto offerto al mercato e l'idea di scrivere sui pastori era già nata in quel periodo. Fu però soltanto dopo l'inaspettato grande riscontro di pubblico di un mio libro su due contadine della foresta bavarese, “Schwalbennester”, che mi decisi a lavorare sulla cultura pastorale siciliana. Punto d'avvio furono le Madonie, dove ebbi la fortuna di incontrare un pastore che, proprio come le due contadine bavaresi, mostrava grande comprensione e interesse per il mio lavoro.



Mi parli di un tuo libro precedente. Di cosa tratta?

Il mio primo libro il cui titolo in italiano significa “Nidi di rondine”, è stato pubblicato nel 2008: racconta di due sorelle non sposate, le quali vivevano poco distante dal mio luogo di origine, in una piccola fattoria. Fu la loro quotidianità che decisi di indagare. Mi si presentò innanzi - in parte noto, in parte estraneo - un mondo in cui la morte è ancora popolata da fantasmi e spiriti. Per tre anni, ebbi con le due donne dei dialoghi, fino alla loro morte. E da questi dialoghi nacquero brevi testi di prosa che, nel loro insieme, restituiscono un'idea di queste due personalità autarchiche e del loro microcosmo. Sicuramente, insolito era il fatto che nella loro storia familiare fossero state sempre presenti donne non sposate che gestivano da sole la masseria. Hanno sempre lavorato per almeno cinque generazioni con un uomo in mezzo e ciò mi ha interessato molto. Altrettanto interessante era, però, anche il modo in cui entrambe, pur se ancorate al passato, si fossero cimentate con pragmatismo e scaltrezza con le esigenze della vita moderna. Nella loro comunità erano delle outsider, probabilmente le ultime della loro specie. Già John Berger, scrittore e critico d`arte, in alcuni suoi lavori, pone l'attenzione sulla scomparsa della cultura contadina intesa come "Lebenswelt" ovvero “mondo della vita” (v. Husserl), evidenziando come di questa sia proprio la quotidianità ad andar persa, in quanto apparentemente non tramandata in una specifica forma di memoria. E con la scomparsa della cultura contadina in quanto "Lebenswelt" si verifica, di pari passo, nella nostra memoria culturale, una sua romanticizzazione. E questo è proprio quello che con e nel mio libro volevo evitare.



Quale è il metodo d'indagine che segui nelle tue ricerche?

In generale, aspetti caratterizzanti del mio metodo di ricerca sul campo sono l'esperienza diretta e le relazioni interpersonali che si stabiliscono con coloro i quali incontro e che decidono di affidarmi le loro storie. Tutto ciò non si può pre-programmare, non può esserci un elenco di domande preparato in anticipo. L'unica cosa a cui ci si può preparare è solo l'armarsi contro le proprie aspettative. Io non do alcun valore a sistemi di ricerca sociale basati sul modello "domanda-risposta". Questo può essere anche giustificabile, non è tuttavia affar mio. Le domande devono nascere da ciò che si afferma nel corso di un dialogo. Non è detto che tali incontri sempre riescano e che si stabilisca un rapporto positivo o semplicemente produttivo. Quando però ciò avviene, a volte, si può anche essere messi a conoscenza di cose che non si sarebbero mai domandate, questo in quanto determinati temi possono scaturire solo nel corso del colloquio. Naturalmente incontro in tale processo anche dei limiti Per esempio la mia comprensione degli svariati dialetti si affida spesso alla collaborazione di altre persone del luogo, che pazientemente si siedono con me dinanzi alle registrazioni e decifrano i dialoghi. Hubert Fichte, un esploratore sui generis, un etnografo che sapeva coniugare l'etnologia con la letteratura, è noto soprattutto per le sue ricerche sulla cultura afro-americana, che studiò per quasi vent'anni. Io forse non avrò bisogno di vent'anni, magari giusto di due....in ogni caso, però, mi accompagnerà sempre la mia macchina fotografica analogica.



(1 agosto 2011)

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