Poesia / Marilù Anaclerio - Versi con una tensione febbrile ed incandescente. Marilù Anaclerio
Benassi Luca Sabato, 16/02/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2013
Marilù Anaclerio è una perfetta sconosciuta nel piccolo ma affollato mondo della poesia. Non ha pubblicato nulla, nessun libro, nessuna pagina dedicata a lei su qualche rivista, nessuna presenza sotto i riflettori a volte effimeri dei blog letterari e dei dibattiti critici. Provate a cercarla su internet: non salterà fuori nessun indizio che ci possa rivelare il vizio della scrittura. Marilù Anaclerio non è un’autrice nel senso contemporaneo del temine, non ha affanni generazionali, non è affiliata ad alcun gruppo, non segue strategie di marketing poetico, non si pone il problema del linguaggio per compiacere a qualche critico o per accedere ad una collana importante di poesia. Marilù è una poetessa pura, la cui emozione, la cui complessa vitalità, il cui desiderio smisurato di affetto, l’inquietudine dell’esistenza coincidono quasi perfettamente con la parola poetica. Vi è in Marilù un’adesione della poesia alla verità dello spirito, quella condizione che sosteneva Umberto Saba essere essenziale per essere (veri) poeti e scrivere una “poesia onesta”, non viziata cioè da quel “peccato contro lo spirito”, espressione di una disonestà umana prima ancora che letteraria. Per conoscere Marilù, è lei stessa ad avvertirci, bisogna passare attraverso i suoi versi. In essi lei si mette a nudo, mostrando quella fragilità frutto dell’inquietudine che ci coglie nel momento in cui cediamo all’emozione, al dolore, alla passione e ci liberiamo delle maschere e delle sovrastrutture del quotidiano. Ecco allo spalancarsi un baratro, un pozzo di buio nel quale gettarsi per ascoltare il balbettare confuso dell’inconscio, della parte più nascosta, intima e vera. Ed in effetti, non manca in questa poesia una dimensione onirica, a tratti surreale, che impregna questi versi con una tensione febbrile ed incandescente. Marilù gioca un corpo a corpo con se stessa e con la parola, forgia il linguaggio per metterselo addosso come un vestito, una forma nella quale riconoscersi e farsi riconoscere. Questa poesia chiede lettori e lettrici puri, che si accostino ai suoi versi con occhi limpidi, senza pregiudizi, senza paura. Allora si potrà cogliere la sensualità di certe sonorità barocche, ricche di assonanze, rime interne, allitterazioni (“assaporo il sapore aspro”). La Anaclerio ama giocare con i suoni, con versi lunghi nei quali ogni sillaba sembra giocare e richiamarsi alle altre, a volte cortocircuitando i nessi sintattici. Si tratta di una lingua grassa, piena di aggettivi fino a saturare le immagini espressione di una sensibilità peculiare, frastornata e allo stesso tempo infinitamente dolce. I testi qui pubblicati sono inediti.
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