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Viva la libertà ma non torniamo indietro

Viva la libertà ma non torniamo indietro

Focus - Diritto di famiglia, 40 anni dopo/2 - Hela Mascia, esperta di diritto, nel 1975 con il collettivo femminista del Pompeo Magno contestava la riforma. Oggi ne riconosce la validità ma avverte: attenzione alle nuove schiavitù per le donne. Quali? L

Bartolini Tiziana Domenica, 06/09/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2015

 Il nuovo diritto di famiglia (legge 151 del 1975) ha modificato in modo sostanziale la posizione della donna nella società, riconoscendole diritti fondamentali sul piano giuridico. La società degli anni Settanta era pronta alla riforma e il legislatore prese atto delle mutazioni avvenute. Hela Mascia all'epoca era una giovane femminista impegnata nel movimento che nelle piazze lottava per cambiare la società italiana.



Come ricordi quel periodo?

È stato un periodo tumultuoso e ricco di stimoli che hanno cambiato innanzitutto noi donne. Sulla riforma del Diritto di Famiglia al Collettivo del Pompeo Magno (la sede a Roma del movimento femminista, ndr) si riuniva il martedì il Collettivo giuridico di cui facevo parte, per leggere, articolo per articolo, il disegno di legge in discussione. In Parlamento fioccavano, in verità, più critiche che consensi alle varie proposte dei partiti, a nostro parere troppo poco rispettose della libertà femminile. Il concetto di fondo che ci guidava nelle nostre analisi era il superamento della separazione fra “il personale ed il politico”. Con il senno di poi possiamo dire che il nuovo diritto di famiglia ha rappresentato un tentativo riuscito di superamento di quel modus operandi che fino ad allora la legge aveva codificato, obbligando le donne a scegliere tra felicità privata e giustizia pubblica. Che cosa è accaduto in questi quaranta anni? Le distanze fra i sessi si sono accorciate, anche se viviamo un periodo storico sospeso fra un futuro che a volte ci sembra vicino e, a volte, assume forme diverse, ma contenuti simili al passato. Mi riferisco alla crisi istituzionale creata dallo Stato quando interviene nella sfera privata e legifera pesantemente sulle scelte dei cittadini. Nel campo della salute alcuni provvedimenti come il divieto del fumo o il divieto della procreazione eterologa sono alcuni degli esempi più noti di ingerenza pubblica. Oppure il divieto di decidere della propria vita attraverso un testamento biologico. Ma altri episodi potrebbero indicare che la separazione fra personale e politico sia destinata a finire.



Se quaranta anni fa si parlava di diritto di famiglia, oggi il Parlamento è chiamato a legiferare sui diritti delle famiglie. C'è quindi una pluralità di soggetti (e di realtà differenti) che chiedono il riconoscimento di altri diritti. La politica non sembra ancora pronta ad accogliere queste istanze. È moralismo, prudenza ...oppure?

Il nuovo diritto di famiglia aveva dei principi semplici ma rivoluzionari da attuare tra cui non dimentichiamo quello che ha segnato un discrimine nei rapporti fra uomini e donne: il riconoscimento dei figli senza distinzione fra quelli nati dentro e fuori il matrimonio. Si superò, cioè, la distinzione tra i figli legittimi perché nati dentro il matrimonio e figli illegittimi perché nati fuori dal matrimonio. Se solo pensiamo alla letteratura fiorita nei secoli sulle storie dei figli “bastardi” e le lotte perse dalle madri per ottenere dai padri il loro riconoscimento, solo questo fatto segna un passo avanti che quaranta anni fa fu condiviso da tutta la società.

Oggi quella che tu indichi come pluralità dei soggetti che chiedono il riconoscimento dei diritti delle famiglie diverse da quella tradizionale sono gli omosessuali, che vogliono riconosciuto il matrimonio ed i seguenti diritti civili (diritto alla pensione, alla capacità di ereditare, ecc.). Giuridicamente è difficile non riconoscere la validità di tale pretesa in presenza del pagamento delle tasse da parte dei cittadini. Anche la possibilità di adozione da parte degli omosessuali è un diritto che va riconosciuto in linea di massima. Ciò che trovo insostenibile, guardando l’esperienza dei paesi anglosassoni e scandinavi che hanno già adottato leggi a favore dell’adozione, è la pratica sconsiderata dell’utero in affitto da parte di omosessuali maschi che vogliono a tutti i costi “vivere la genitorialità” affittando uteri da donne che sono, o sarebbero, probabilmente donne povere. Molte volte ho considerato la fretta con cui in nome della modernità i paesi anglosassoni, così ciechi nella loro concretezza, si sono imbarcati in riconoscimenti di diritti che poi hanno creato solo danni. Mi riferisco al periodo a noi vicino in cui con grande leggerezza si sono messi da parte ovuli, sperma e quant’altro dando luogo a situazioni e problemi di rilevanza sociale cui, poi, la stessa legge non è stata in grado di dare risposte o soluzioni. Un esempio: il rischio, a causa dell’uso della banca del seme, di un incontro fra un fratello o una sorella e di avere un figlio. Oppure soggetti mentalmente malati che si sono improvvisati pluridonatori, donatrici di utero a più soggetti oppure dopo la nascita trasformatisi in ricattatrici… e potrei continuare per portare acqua al mulino della prudenza in un campo delicatissimo che riguarda esseri umani da far nascere. Non so perché, ma rispetto alla conquista di quaranta anni fa del riconoscimento dei figli senza distinzione fra nati dentro e fuori il matrimonio, alcune fantasiose aspirazioni a riconoscimenti di diritti come la genitorialità da parte di un sesso che non può generare non mi sembra una conquista, ma un passo indietro verso una nuova forma di schiavitù della donna.

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