Come operatrici “antiviolenza” ci troviamo di frequente a gestire situazioni in cui le vittime inizialmente animate da una forte motivazione, accolgono l’aiuto legale o psicologico e in alcuni casi più gravi anche il rifugio, dopodiché
Giovedi, 23/03/2017 - Vittime dei maltrattanti. E di se stesse
Dott.sse Laura Uccello e Fabiana Forte
Come operatrici “antiviolenza” ci troviamo di frequente a gestire situazioni in cui le vittime inizialmente animate da una forte motivazione, accolgono l’aiuto legale o psicologico e in alcuni casi più gravi anche il rifugio, dopodiché, improvvisamente, fanno un passo indietro per ritornare tra le braccia del loro carnefice.
Ebbene perché questo avviene? Troviamo possibili risposte nella letteratura scientifica e in particolare negli studi sulla vittimologia.
Sino agli anni ’50 la criminologia aveva considerato la vittima in funzione dello studio del criminale. La vittimologia, invece, studia la vittima, il rapporto che ha avuto con il proprio aggressore, il contesto ambientale fisico e psicologico, la fenomenologia della vittima entro la quale è stata compiuta un’azione criminale e le conseguenze fisiche, psicologiche e sociali.
Secondo Wallace (1998) il vittimologo dovrebbe porsi i seguenti interrogativi: In che modo e perché le vittime si pongono in una situazione potenzialmente pericolosa? In che modo il sistema sociale e nello specifico il sistema penale e del controllo sociale, interagisce con la vittima?
Leonore Walker negli anni ’80 descrisse il ciclo della violenza e indicò nella ripetitività la caratteristica distintiva del maltrattamento domestico ai danni delle donne.
Il maltrattamento è costituito da almeno due cicli completi di violenza, ognuno dei quali è caratterizzato dalla presenza e ripetizione di 3 fasi: nella prima fase si osserva un accumularsi di tensione emotiva nell'uomo; nella seconda fase la tensione esplode e si riversa contro la donna; nella terza ed ultima fase, chiamata anche "luna di miele", l'uomo manifesta pentimento per il gesto e mette in atto comportamenti riparatori. Un ciclo si è così concluso ma un altro sta per iniziare.
La violenza domestica si distingue da altro genere di crimini per un aspetto chiave: l’intima relazione tra la vittima e il carnefice. All'interno di ogni coppia esiste un mutuo accordo composto da regole esplicite ed implicite. La violazione ripetuta e protratta di alcune regole può condurre al maltrattamento. Se da una parte c’è un individuo che viola le regole (il maltrattante) dall’altra parte c'è una persona che dovrebbe esigere il rispetto di tali regole (la donna maltrattata). Domanda: perché la donna non esige il rispetto delle regole e non si sottrae ad una situazione del genere?
Quando una donna riceve per la prima volta uno schiaffo e non vi si oppone o non da’ a tale gesto l'importanza che merita, è come se autorizzasse l'uomo a farlo nuovamente.
Leonore Walker (2000) descrive la sindrome della donna maltrattata ricorrendo al modello dell’impotenza appresa (Seligman,1975): quando ci si trova in una situazione dolorosa da cui si tenta di fuggire ma non c’è corrispondenza tra gli sforzi compiuti e i risultati ottenuti, è probabile che si sviluppi un senso d’impotenza, caratterizzato da apatia, perdita della speranza, incapacità di reagire e abbassamento delle difese immunitarie. Questo modello permette di dimostrare che alcuni comportamenti come la difficoltà a reagire e la sfiducia al cambiamento possono essere delle conseguenze della violenza, e spiega quindi il perché la donna non riesca a sottrarsi al maltrattamento.
Secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna i principali ostacoli che possono rendere difficoltosa l’interruzione della relazione con l’abusante/maltrattante sono ascrivibili a 5 categorie:
1. Il comportamento del maltrattante che può minacciare di uccidere la vittima e/o i figli qualora lo lasciasse o di commettere suicidio, intensificare la violenza o la persecuzione quando la vittima prova ad allontanarsi, impedire l’accesso al sostegno esterno, diffamare la vittima.
2. Ostacoli socioeconomici come ad esempio non avere accesso al denaro, non avere un impiego, essere sprovvista di auto, vivere in una zona priva di trasporto pubblico, rischiare di perdere il proprio lavoro in caso di spostamento.
3. Ostacoli istituzionali come l’improbabilità che il maltrattante rispetti “il confino”, i lunghi tempi di attesa per fornire sussidi alla donna.
4. Problemi legati alla rete sociale. Accade che la famiglia sia contraria alla separazione della coppia, evita di farsi coinvolgere o non fornisce alcun tipo di sostegno sociale o finanziario oppure che la famiglia del maltrattante usi anch’essa violenza alla vittima.
5. Valori personali come le convinzioni religiose che suggeriscono che divorziare sia sbagliato, il forte senso di fedeltà e dedizione, la percezione di essere responsabile dei problemi all’interno della coppia e il dubitare di poter essere autosufficiente o di poter avere un’altra relazione.
Una spiegazione del perché sia preferibile mantenere una relazione con un uomo maltrattante piuttosto che interromperla viene fornita dal Tenente Colonnello Giorgio Stefano Manzi.
Dinanzi al rischio di perdere una condizione in equilibrio (un matrimonio, una casa, dei figli, un sostentamento), l'uscire da una situazione, seppur maltrattante, implicherebbe un investimento psichico maggiore di quanto richieda la sopportazione del maltrattamento.
Secondo Rita Canu occorre altresì considerare che una donna può chiudere e riaprire più volte la relazione del maltrattante al fine di verificare le possibilità di un cambiamento effettivo del compagno, valutare oggettivamente le risorse interne ed esterne disponibili o verificare la reazione dei figli alla mancanza del padre.
A questo punto appare piuttosto evidente “perché” sia così difficile interrompere in modo definitivo una relazione potenzialmente mortale. I fattori implicati sono intrapsichici, relazionali e sociali.
Per tale motivo le strategie d’intervento messe a punto dal centro antiviolenza si fondano su un’ottica integrata e multidimensionale. I servizi offerti mirano infatti a rispondere alle molteplici necessità della vittima e tengono in considerazione la vulnerabilità psicologica e sociale della vittima.
L’intervento psicologico, nel counseling, persegue l’obiettivo di aumentare i livelli di consapevolezza della donna, sostenerla nella richiesta di aiuto rivolta a personale competente, incrementare la propria autostima.
Il servizio di consulenza e assistenza sociale si pone come finalità quella di orientare e sostenere l’utente nella fruizione dei servizi territoriali e di elaborare un progetto finalizzato a valorizzare le potenzialità e le risorse emerse dall'analisi di rete dell’utente che la stessa dovrà imparare a conoscere e/o riconoscere.
Il servizio di consulenza e assistenza legale si occupa di fornire consulenza legale gratuita alle donne che si rivolgono al Centro, illustrando quali leggi sono applicabili al loro caso e orientandole nel percorso legale più adeguato alla fattispecie.
Lo sportello empowerment fornisce un servizio di consulenza e informazione in materia di forme di tutela previdenziale e assistenziale, sostiene, accompagna e supporta le donne che vogliono entrare o rientrare nel mercato del lavoro locale o che voglio intraprendere una nuova attività per conto proprio.
Sempre e in ogni caso, la donna maltrattata deve sapere che non è sola, che può rivolersi ad un centro qualificato dove potrà conoscere e sperimentare (forse pe la prima volta nella sua vita) la solidarietà sincera e competente di altre donne che hanno scelto di lottare contro la violenza di genere.
(*) psicologhe operatrici della Rete Centri Antiviolenza di Raffaella Mauceri - Siracusa
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