La Corte di Cassazione non accoglie l'assunto richiamato dalla Corte d'appello di Palermo, in virtù del quale la donna ha un onere di resistenza, forte e costante, agli approcci sessuali dell'uomo
Lunedi, 29/04/2024 - "Tu la chiami violenza? Ma se è questo che vuol la donna! Ciò che piace a loro è dar per forza ciò che vogliono dare. Colei che assali in impeto d'amore, chiunque ella sia, ne gode, e la violenza è per lei come un dono; (poiché) il pudore vieta alla fanciulla di agir per prima. Può darsi si rifiuti, e allora i baci prendili a forza. Se reagirà, se per la prima volta ti dirà che sei sfacciato, credi, non vuol altro che resistendo, essere vinta insieme”.
Nell'anno 2024 di nostra vita, i giudici della Corte d'appello di Palermo, nel riformare la sentenza di primo grado di condanna per violenza sessuale di un imputato, hanno rispolverato l'ars amatoria di Ovidio, per dichiarare che il semplice rifiuto verbale al rapporto sessuale manifestato dalla giovane donna, sia stato interpretato dall'imputato come una ritrosia “di facciata”. Anche la Cassazione, in una sentenza del 1967, richiamando la vis grata puellae, dichiarò che:“non può raffigurarsi violenza in quella necessaria a vincere la naturale ritrosia femminile, destinata a crollare al primo squillo di tromba con le mura di Gerico”. In questo mezzo secolo trascorso, i progressi normativi e giurisprudenziali sono stati tanti e, forse, per questo l'imbarazzo e lo sdegno nel leggere sentenze di questo tenore, crescono a dismisura negli addetti ai lavori e non.
In primo grado l'imputato veniva condannato per i reati di cui agli artt., 81, 609 bis c.p. e per i reati di cui agli artt. 582, 585 c.p. consistiti nell'aver costretto la parte offesa a subire plurimi rapporti sessuali, in orario notturno, nel proprio furgone, in una zona isolata e, successivamente in una abitazione nella sua disponibilità a seguito di una serata passata in discoteca e con il pretesto di offrirle un passaggio per riaccompagnarla a casa. Nel ricorrere in Cassazione, ai soli effetti civili, la difesa della donna deduceva, con unico motivo, la violazione di legge, la contraddittorietà e il vizio della motivazione, oltre al travisamento della prova in ordine alla valutazione dell'inattendibilità delle dichiarazioni rese della stessa. Nello specifico, veniva sottolineata l'illogicità motivazionale della sentenza d'appello che, nel ribaltare la sentenza di primo grado, aveva evidenziato come la corte territoriale avesse attribuito un ruolo decisivo a quanto dichiarato da un teste su talune circostanze marginali della vicenda, riguardanti la fase antecedente gli episodi di violenza subiti. Nello specifico: la richiesta della donna di un passaggio in auto per poter rientrare dalla discoteca a casa, perchè rimasta senza le amiche e il fidanzato, con il quale aveva discusso. Sulla base di questa dichiarazione resa dal teste, la Corte d'appello aveva ritenuto di dover ribaltare la sentenza di primo grado in quanto la richiesta del passaggio a casa era stata avanzata dalla donna e non dall'imputato, quasi a voler sottolineare che in una semplice richiesta fosse insita la volontà della vittima a rendersi disponibile a qualsiasi richiesta di quello che si rivelerà essere il suo stupratore.
La ricorrente sottolineava, altresì, la contraddittorietà della sentenza d'appello in quanto la Corte aveva evidenziato più volte sia l'assenza di una reazione fisica, da parte sua, sia l'assenza di segni esteriori di violenza, richiamandosi all'antico brocardo, decantato da Ovidio, della vis grata puellae, in virtù del quale la donna, qualsiasi donna, per sua stessa natura, ha un onere di resistenza, forte e continuo, agli approcci sessuali dell'uomo, non essendo sufficiente il semplice rifiuto di un atto sessuale. La Suprema Corte ha accolto tutte le doglianze sollevate dalla ricorrente, osservando che i giudici di secondo grado avrebbero dovuto chiarire le ragioni del perchè erano state ritenute inattendibili le confidenze rese dalla donna, al teste , alla madre, alle amiche ed alla psicologa circa le ripetute violenze subite quella notte dall'imputato. Ad ulteriore supporto della veridicità delle confidenze rese a familiari ed amici e confermate innanzi agli inquirenti all'atto della sottoscrizione della denuncia-querela, erano stati rinvenuti ed acquisiti in giudizio, gli indumenti intimi indossati dalla donna la notte delle violenze, lacerati. Per la Cassazione, la corte d'appello si è limitata a rielaborare le risultanze probatorie senza ricostruire gli accadimenti, ignorando anche l'esistenza e la produzione degli indumenti intimi lacerati e dei messaggi di testo intercorsi tra la persona offesa e l'imputato, dai quali si legge che quest'ultimo riferisce che ad un certo punto della serata, la ragazza si era spaventata “ammettendo di essere leggermente nervoso”.
In tema di motivazione della sentenza, la Cassazione sottolinea che la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare in maniera puntuale le ragioni in base alle quali ha ritenuto di dover addivenire ad una pronuncia di segno opposto rispetto a quella di primo grado nella quale il tribunale ben evidenzia come l'imputato, convinto che si fosse creata una situazione favorevole con una ragazza che considerava “facile”da abbordare e con la quale consumare atti, sevizie e rapporti sessuali a proprio piacimento, ha ignorato volutamente i segnali di dissenso manifestati dalla stessa la quale ha dichiarato, quando interrogata, di essersi opposta agli atti sessuali chiedendo di essere riaccompagnata a casa per poi assumere un attegiamento inerte, sopraffatto e di paralisi, a seguito dei ripetuti episodi di violenza. Si legge in sentenza: “La persona offesa ha anche riferito di essere rimasta sempre inerte, sopraffatta e paralizzata non solo in occasione dei primi atti sessuali (...) ma anche quando, rimasta pochi minuti da sola in macchina con gli sportelli aperti, non aveva tentato la fuga. La tematizzazione di tali profili è del tutto estranea al tessuto motivazionale del provvedimento impugnato, onde non può affermarsi che i giudici di secondo grado siano pervenuti alla riforma della sentenza di prime cure attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della correttezza logica e sulla base di apprezzamenti di fatto esenti da connotati di contraddittorietà o di manifesta illogicità e di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze degli atti”. La Cassazione ha, perciò, annullato la sentenza limitatamente agli effetti civili con rinvio, per nuovo giudizio, al giudice civile competente, per valore, in grado d'appello.
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