Venerdi, 23/10/2009 - Semplicità, essenzialità e purezza: con questi criteri il regista francese Laurent Pelly ha allestito la sua Traviata in apertura della stagione del Regio di Torino - in coproduzione con il Santa Fe Opera Festival -, prescindendo da ogni cornice oleografica e concentrando tutto il fascino del racconto sulle gioie, i turbamenti, gli affanni della protagonista. Di questo melodramma molto amato, che debuttò a Venezia nel 1853 fra disappunti e irrisioni, è nota la vicenda. È la stessa della “Signora delle Camelie”, di Alessandro Dumas figlio, che nel suo romanzo immortalò Marie Duplessis, una prostituta parigina morta giovanissima, di cui si era follemente e la cui tomba a Montmartre è ancora meta di visitatori commossi.
L’immenso sipario del Regio si apre appunto su un fondo cimiteriale dal quale si stacca - con un flash back accompagnato dalle note del preludio del primo atto - il funerale della sfortunata giovane donna stroncata dalla tisi. Lo spettacolo si illumina subito dopo, ma sempre accolto dall’architettura spoglia dell’inizio (Chantal Thomas ne è l’artefice): un incastro labirintico di blocchi scuri, dove quasi con un funereo presentimento di morte, tutta la storia trova il suo sfondo. Saranno solo le luci e i costumi, posticipati di qualche decennio, a connotare tempi e luoghi: il salotto dell’aurora amorosa, il giardino della casa di campagna lontana dalla vita mondana, le sale effervescenti di Flora, la casa ormai spoglia della sventurata Violetta sola e abbandonata da tutti, che morendo si trascinerà addosso il lenzuolo come un sudario.
Il tumulto delle passioni, le sfumature del dolore, la rassegnazione, la ribellione: tutto erompe con forza in questo spettacolo che proprio in virtù della sua assenza di illustrazioni mette in luce la bellissima partitura musicale, la più densa di interiorità psicologica di tutto il teatro d’opera romantico. Dalle splendide pagine musicali il direttore Gianandrea Noseda ha tratto con rara sensibilità le profonde penetrazioni emotive.
I preludi, le cabalette, i cori, il concertante finale e lo straziante addio del passato che si spegne in un singhiozzo: tutto concorre alla bellezza di quest’opera che vola ai vertici dell’arte lirica, specialmente con un cast come quello che figura fino al 28 ottobre in questo cartellone. La rumena Elena Mosuc, soprano dalla carriera folgorante, in grado di sostenere il raffronto con le grandissime del passato, sfoggia una grande tecnica, agilità e una espressione drammatica che avvince. Francesco Meli, fra i migliori tenori del momento, ha una giovane voce limpida e lucente e il baritono Carlos Álvarez incede perfetto nelle vesti severe di papà Germont.
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