La spropositata reazione contro l'accampamento nomade a Torino si configura come un atto di violenza gratuita, generata da una bugia figlia a sua volta di un altro genere di violenza.
Martedi, 20/12/2011 - L’episodio del rogo di Torino, scatenato in un campo rom a causa di una denuncia per uno stupro inventato da parte di una giovane ragazza, ha visto mettere in campo svariate letture dell’evento ad opera dei media. All’inizio, quando non si era ancora compreso che la violenza sessuale non fosse stata consumata, i riflettori si sono accesi sulla vendetta perpetrata ai danni dei nomadi, frutto di un ben preciso riflesso condizionato: stupro = rom = rappresaglia. Fiumi di parole e di inchiostro sono stati versati per svelare quel che tanto celato poi non è, ossia quel malcelato razzismo che cova dentro la maggior parte degli italiani e che conduce a trovare “il reo” di turno quale capro espiatorio di fatti criminosi. Uno zingaro, un romeno, un albanese, un extracomunitario, un clandestino, un musulmano integralista e ed “altri” ancora sono gli appartenenti a quelle categorie sociali che di volta in volta vengono criminalizzate a priori, a prescindere dalle proprie effettive responsabilità. L’operazione mentale che concreta questo fenomeno sociale potrebbe semplificarsi con il motto. “nasce prima il reo che il reato”.
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