Natalia Maramotti Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2007
La violenza tra le mura domestiche esercitata dal partner, sia esso marito o convivente, è un drammatico fenomeno troppo spesso rimosso dai mezzi di informazione. Un tempo era considerata un legittimo strumento di correzione all’interno della relazione tra moglie e marito, ma anche quando la sua legittimazione è venuta meno è rimasta l’erronea convinzione che si tratti di una “questione privata”.
Con la legge 4 aprile 2001 n. 154, intensamente voluta dalle donne giuriste e non, impegnate nei Centri Antiviolenza diffusi su tutto il territorio, si è data una risposta in termini normativi alla necessità pratica di avere uno strumento che potesse separare rapidamente il destino della donna vittima di violenza da quello del carnefice, fosse esso marito o convivente.
Il Codice Penale già prevedeva diverse fattispecie di reato quali le ingiurie, le percosse, la violenza privata o i maltrattamenti in famiglia; con l’entrata in vigore della legge 154/01 tuttavia attraverso la previsione dell’allontanamento dalla casa familiare di mariti o conviventi violenti, per effetto di una decisione rapida del giudice, si è giunti, almeno negli intenti ideali del legislatore, ad un’effettività e tempestività della tutela. Cosa fare nel caso una donna subisca violenza tra le mura domestiche? Qualora gli episodi di violenza siano isolati, è previsto che sia la donna a dover presentare querela entro 3 mesi dal giorno in cui la violenza è stata agita; grazie a questo si apre un procedimento penale a carico del suo aggressore.
Se invece gli episodi di violenza sono numerosi e continuati, ossia sono maltrattamenti, è con la denuncia alla Polizia o ai Carabinieri che inizia il procedimento, che continua a prescindere dalla volontà della donna maltrattata di punire il suo aggressore.
E’ bene ricordare che la denuncia può essere fatta anche quando delle aggressioni sono vittime i figli o altri membri della famiglia con cui la donna convive.
Solo le percosse sono maltrattamenti puniti dalla legge? Ovviamente no. Accanto ai maltrattamenti fisici, quelli che provocano lesioni solitamente ben rilevabili, sono da considerarsi maltrattamenti anche quelli morali e psicologici, ossia tutte quelle condotte agite dal coniuge o dal convivente che provochino scherno, umiliazione e consistano in atti di disprezzo e di lesione della reputazione della donna.
Si può denunciare il marito o convivente anche per aver costretto la moglie o la convivente, oppure un altro componente della famiglia, con la violenza o con una minaccia, anche non esplicita, a fare o a non fare qualcosa, ad esempio a non uscire di casa o a non usare il telefono. Quando si verificano episodi di maltrattamento è importante recarsi prima possibile in ospedale affinché venga certificato lo stato di salute della donna e le lesioni fisiche o psicologiche subite. Anche se non esistono segni visibili di violenza è comunque determinante che un medico rilevi lo stato di paura e agitazione che è connesso alla situazione subita nell’ambito della relazione con il coniuge o il convivente.
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