Violenza sulle donne: quando i processi non fanno giustizia
Casa della donna di Pisa, “vicenda Buscemi caso emblematico”: iter giudiziari lunghi e prescrizione, dibattimenti viziati da stereotipi e pregiudizi, vittime colpevolizzate
Giovedi, 23/11/2017 - Pisa, 23 novembre 2017. In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, l’associazione Casa della donna di Pisa vuole richiamare l’attenzione di istituzioni e cittadinanza su un aspetto di cui si parla molto poco nonostante rappresenti un tema fondamentale: come nelle aule di tribunale vengono condotti i processi per violenza.
Dall’esperienza del Centro antiviolenza della Casa della donna emerge, infatti, che ancora oggi tante donne non ottengono giustizia perché gli iter giudiziari durano anni e i reati cadono in prescrizione, i processi sono viziati da stereotipi e pregiudizi e in aula si dibatte con modalità che tendono a colpevolizzare e screditare le vittime reiterando la violenza. E proprio a questo proposito, secondo le operatrici del Centro antiviolenza della Casa della donna, è emblematico un caso che hanno seguito molto da vicino, quello del processo contro Andrea Buscemi imputato per stalking nei confronti dell’ex compagna Patrizia Pagliarone. Dalla denuncia di Patrizia nel 2009 si è arrivati al processo nel 2013, quindi alla sentenza di primo grado nel 2016 e a quella di appello, che ribalta la sentenza di primo grado, lo scorso maggio. Questo inverosimile allungamento dei tempi ha determinato la prescrizione del reato e l’impunità dello stalker. La Corte di Appello di Firenze, infatti, ribaltando la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Pisa, ha condannato Buscemi al risarcimento danni e al pagamento delle spese legali riconoscendone dunque la colpevolezza ma - come si evidenzia nelle motivazioni alla sentenza - lo ha dovuto assolvere perchè prima del 25 febbraio 2009 il reato di stalking non esisteva e per i fatti successivi a quella data il reato era ormai caduto in prescrizione.
“Leggendo la sentenza della Corte d’Appello - dichiara Carla Pochini, presidente della Casa della donna - appare evidente che i giudici fiorentini non hanno potuto condannare il Buscemi ad un anno di carcere, così come chiedeva la Procura, a causa della prescrizione. Patrizia non ha quindi potuto avere piena giustizia perchè il processo è durato troppo, oltre 7 anni, e quello di Patrizia purtroppo non è un caso isolato. Troviamo inaccettabile, ingiusto e violento nei confronti delle donne che processi per reati di questa gravità si chiudano con la prescrizione: imputati colpevoli non possono essere condannati perché le sentenze arrivano “fuori tempo massimo”. E’ bene ricordare che lo stalking è un tipo di violenza molta diffusa, ne è vittima il 18% delle donne e solo il 14% di chi subisce molestie e maltrattamenti denuncia. Ecco, vicende come quella di Patrizia Pagliarone, che ha visto iniziare il processo dopo ben 4 anni dalla denuncia e dopo altri 4 anni ha visto colui che la perseguitava assolto per prescrizione, certo non spingono le donne a denunciare e ad aver fiducia nella giustizia. Tuttavia la sentenza della Corte d’appello di Firenze ci conforta perché nelle motivazioni sconfessa quanto deciso in primo grado e spiega molto bene cosa nell’iter giudiziario non ha funzionato e non ha permesso di arrivare ad una condanna”.
Come sottolinea la presidente della Casa della donna, le motivazioni alla sentenza della Corte di Appello di Firenze evidenziano alcuni aspetti significativi della vicenda Buscemi-Pagliarone: innanzitutto la Corte lamenta la tempistica lenta degli organi giudiziari di primo grado che ha portato ad una maturazione della prescrizione. Inoltre i giudici fiorentini si distaccano drasticamente dall’impostazione del tribunale di primo grado per la quale Patrizia è da ritenersi “poco attendibile” sottolineando che “non va valutato unicamente una prova orale decisiva (testimonianza di Patrizia Pagliarone) ma vanno analizzati congiuntamente anche i plurimi testi, oltre che la serie di sms”. Poi, rispetto alla poca collaborazione del Buscemi in fase processuale, la Corte d’Appello ribadisce che “si sarebbe attesa che l’imputato, per lealtà processuale, in un procedimento in cui la prescrizione si avvicinava, depositasse immediatamente dopo il rinvenimento dei cellulari (contenenti sms di cui si stava dibattendo) e non a distanza di quasi un anno”. Infine afferma che “nessuna norma sembra imporre alla vittima di reato di essere così brava e determinata da riuscire a troncare immediatamente ogni relazione con il compagno che ha iniziato ad assumere atteggiamenti molesti e minacciosi, anche perché vi può essere non solo la convinzione o la speranza che la condotta possa migliorare, ma anche che l’autore delle condotte non interrompendo il dialogo possa venire per così dire rabbonito e che invece l’interruzione di qualsiasi dialogo possa addirittura peggiorare la situazione”.
“La Corte d’Appello di Firenze dimostra di avere ben compreso non solo la vicenda Buscemi-Pagliarone ma alcuni aspetti cruciali e comuni a molte storie di violenza”, spiega Daniela Lucatti, psicologa del centro antiviolenza della Casa della donna. “Nelle motivazioni alla sentenza, infatti, la Corte ribadisce che se una donna non riesce a sottrarsi alla violenza ciò non significa che la violenza non ci sia, anzi. I giudici fiorentini descrivono con molta attenzione il cosiddetto ‘ciclo della violenza’ come modello esplicativo delle relazioni violente e delle situazioni di stalking. Ciò dà valore e credibilità anche al lavoro dei Centri antiviolenza che basano il loro operato proprio su questo modello. In molte vicende di stalking e violenza assistiamo ad atti persecutori alternati a scuse e dichiarazioni di pentimenti, quasi mai mantenute, e a fasi di corteggiamento e momentanea riconciliazione. Questa alternanza rende la vittima confusa e disorientata e la portano, come si sottolinea anche nell’atto di appello del Pubblico Ministero, ‘a sperare nel cambiamento e a diventare sempre più remissiva ai voleri dell’altro, che in questo modo acquisisce sempre maggiore potere e controllo sul partner’. La Corte d’Appello - continua Lucatti - proprio riconoscendo questo modello smonta l’impostazione del Giudice di primo grado per la quale la vittima era da ritenersi poco attendibile perchè continuava a cercare e a vedere l’imputato. Non riuscire a sottrarsi al proprio persecutore non significa certo che non ci sia violenza, come nel caso di Patrizia dimostrano le tante testimonianze e prove documentali. Sembra incredibile che si debbano ancora spiegare certi concetti e dinamiche a giudici e avvocati ma purtroppo in tanti tribunali a tutt’oggi assistiamo a processi che non sono molto lontani dal celebre Processo per stupro del 1979”.
“La sentenza della Corte di Appello di Firenze - dichiara Giovanna Zitiello, coordinatrice del centro antiviolenza della Casa della donna - ci fa credere che possa esserci giustizia e che una donna che trova il coraggio di denunciare e di non arrendersi, vedrà riconosciuta la propria parola. Purtroppo nella vicenda Buscemi ciò non è accaduto durante il processo di primo grado che per i tempi, le modalità del dibattimento e le motivazioni della sentenza ha rappresentato un brutto esempio di violenza istituzionale. Una forma di violenza che conosciamo bene e che organismi internazionali e letteratura specializzata definiscono ‘vittimizzazione secondaria’: dopo aver subito violenza da parte del maltrattante, la vittima non è creduta, deve giustificare i propri comportamenti, subire stereotipi e giudizi preconcetti ed essere ancora una volta sottoposta a violenza. Sebbene la condanna dello stalker non sia arrivata e Patrizia porterà per sempre i segni di quella violenza - conclude Zitiello - quanto ha scritto la Corte di Appello di Firenze rappresenta un segnale di cambiamento positivo per le donne che subiscono violenza e per le donne dei centri antiviolenza che le sostengono”.
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