Il Parlamento Europeo “…riconosce che la violenza contro le donne è una delle forme più gravi di violenza dei diritti umani basata sul genere e che la violenza domestica costituisce anche un fenomeno occulto che colpisce troppe famiglie tanto che non può essere ignorato…”
“…evidenzia che la società civile, in particolare le ONG, le associazioni femminili e altre organizzazioni di volontariato pubbliche e private che prestano sostegno alle vittime della violenza, offrono un servizio estremamente importante, in particolare assistendo le vittime che desiderano spezzare il silenzio in cui sono imprigionate dalla violenza, e dovrebbero ricevere il sostegno degli Stati membri…”;
In Italia esiste un Piano nazionale contro la violenza alle donne. Ma, aldilà degli ottimistici proclami, i presidi di contrasto stanno attraversando una fase delicatissima della propria esistenza, dovuta alle difficoltà economiche, oggi più che mai patologiche, dei servizi alle donne e alla loro salute. E per questo c’è chi si chiede se il ministro Carfagna ci sia o ci faccia. Da tempo, oramai, si paventa la chiusura di molti centri antiviolenza in tutto il territorio nazionale, con il rischio di vanificare anni di esperienza e professionalità ma soprattutto di lasciare sempre più sole le donne in difficoltà.
La Regione Calabria possiede uno strumento legislativo importante che la porrebbe all’avanguardia rispetto ad altre regioni italiane (in positivo, per una volta tanto): la Legge regionale 21 agosto 2007, n. 20 (Disposizioni per la promozione ed il sostegno dei centri di antiviolenza e delle case di accoglienza per donne in difficoltà).
Succede però che, nonostante i numeri sulla violenza di genere, nonostante l’esistenza della legge 20, nonostante le forti pressioni da parte delle Donne calabresi in Rete e di chi ha supportato le loro iniziative (relative alla richiesta di emanazione del bando per la legge 20 e all’inserimento, nei provvedimenti attuativi della stessa legge, del manuale Via dalla violenza come indicatore di contenuti teorici e pratici per l’apertura e la gestione di un Centro antiviolenza) l’Amministrazione regionale, dopo una pre-informazione datata aprile 2011, si sia decisa a pubblicare solamente il 20 maggio 2011 un Avviso pubblico per la selezione di progetti finalizzati alla creazione o potenziamento di centri di ascolto per vittime di violenza di genere. I finanziamenti ai centri che hanno partecipato allo scorso bando sono stati interrotti nel novembre 2010 e, di fatto, si è impedita per quasi un anno l’applicazione della legge regionale attraverso una grave omissione istituzionale.
A questo punto si potrebbe dire che finalmente il problema sia risolto, anche se temporaneamente. E invece no. Succede che, mentre la legge regionale 20/2007 all’articolo 3 dice chiaramente che “I progetti, da realizzarsi anche in più annualità, prevedono il sostegno, l’attivazione e la gestione dei “centri antiviolenza” e delle “case di accoglienza” di cui agli articoli 4 e 5”, e mentre nel bilancio 2011, il capitolo di spesa numero 62010520 preveda “spese per la promozione ed il sostegno dei centri antiviolenza e delle case di accoglienza per le donne in difficoltà (legge regionale 21 agosto 2007, n. 20)”, con il bando di recente pubblicazione la Regione Calabria, nello specifico il Dipartimento 10, decide invece di ignorare completamente l’articolo 5 della legge 20 e del bilancio, destinando i soldi esclusivamente ai centri antiviolenza, che corrispondono a quanto definito dal bando per i centri di ascolto.
A questo punto è necessario ricordare che i centri di ascolto svolgono funzioni e attività di prima accoglienza, mentre le case di accoglienza, segrete, ospitano temporaneamente donne che si trovano in situazioni di necessità o di emergenza e svolgono un ruolo fondamentale nei percorsi di uscita dalla violenza e di re-inserimento nella società.
In breve: il Consiglio regionale ha previsto, nel bilancio 2011, sia il finanziamento dei centri antiviolenza che il finanziamento delle case di accoglienza. Perché, allora, con il bando si è operata una scelta diversa? Perché le risorse non sono state ripartite come prevedono sia la legge 20 che la legge di bilancio?
Chi, dunque, ha preso questa decisione? Con quali motivazioni?
Ancora: quante case rifugio sono realmente esistenti ed attive, oggi, nel territorio regionale? L’Amministrazione regionale si è fatta carico di censirle? Perché l’Amministrazione regionale preferisce che le donne vittime di violenza, magari con figli minori, vengano ospitate in case di accoglienza fuori dalla regione, con la possibilità non remota che questo fattore possa fungere da ulteriore deterrente nella scelta, già difficile, delle donne di allontanarsi da situazioni gravi che mettono a rischio l’incolumità propria, ed eventualmente quella dei figli? Quando si capirà che la violenza sulle donne non è un problema che riguarda esclusivamente le donne, ma tutti?
Questa paradossale situazione è anche il risultato della mancanza di concertazione con le donne, alle quali spetterebbe un tavolo di partenariato permanente, non per gentile concessione ma perché hanno il diritto di far ascoltare la propria voce.
Riteniamo che a questo punto ci siano gli estremi per chiedere il ritiro del bando e la ripartizione delle risorse. La questione della violenza contro le donne è una delle priorità della nuova strategia della Commissione europea per la parità tra donne e uomini 2010-2015. Facciamola diventare anche una nostra priorità. Realmente.
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