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Violenza domestica tra povertà e paura

Violenza domestica tra povertà e paura

Egitto - Da anni le associazioni femminili egiziane si battono perché si parli della violenza domestica e perché si affronti concretamente. La testimonianza di Magda Adly, direttrice del Centro El Nadeem

Zenab Ataalla Giovedi, 07/01/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2016

 Secondo l’indagine governativa pubblicata nel 2014 che prende in considerazione più di 20mila intervistate, il 36% delle donne sposate con un’età compresa tra i 15 e i 49 anni ha subito violenza fisica o psicologica tra le mura di casa.

L’aguzzino è il marito per il 64%, ma a questo si aggiunge il 26% di chi viene maltrattata dal padre o patrigno ed il 30% di chi subisce violenza da parte della madre o matrigna.

La ricerca, che incrocia diverse variabili tra cui età e livello di istruzione, evidenzia tuttavia un dato già ben noto. La violenza è presente soprattutto dove le condizioni di vita sono al limite della povertà. E più una donna è povera, più sarà soggetta ad atti di violenza.

Se poi alla povertà si aggiungono tutta una serie di fattori come la paura, l’incapacità di reagire personale e la mancanza di giustizia il quadro che ne viene fuori è sicuramente poco tranquillizzante, come sottolinea Magda Adly, direttrice del Centro El Nadeem che da anni si occupa della riabilitazione fisica e psicologica di chi subisce violenza.

“Tutta una serie di cose permettono il perpetrarsi della violenza contro le donne in Egitto. Non ci sono solo la paura e la vergogna. C’è anche lo scarso impegno da parte delle istituzioni e del sistema giudiziario a tutelare quanto si dovrebbe le vittime” dice Magda Adly, e continua “la realtà è ancora più dura da accettare quando persistono idee retrograde che mal si declinano con una possibile emancipazione femminile. Persistono ancora atteggiamenti di forte retaggio maschilista e un uomo si sente in diritto di picchiare la propria moglie se il pranzo non è preparato o addirittura se una pietanza è troppo salata”.

Il punto è proprio la difficoltà di denunciare in una società nella quale è forte l’autorità maschile.

Per questa ragione non tutte le donne egiziane sono in grado di allontanarsi da casa con i figli e chiedere il divorzio e tanto meno di rivolgersi alle forze dell’ordine.

“Una volta che le vittime trovano il coraggio, è fondamentale dare loro tutto il sostegno possibile” sottolinea Magda Adly, perché “la capacità delle donne di fronteggiare la violenza subita dipende anche dal sostegno che ricevono. Ma prima di tutto è fondamentale aiutarle a recuperare l’autostima ed il pieno senso di loro stesse”.

Parliamo di un sostegno che dovrebbe venire prima di tutto dalla famiglia di origine, ma che purtroppo non è scontato: “quando i genitori delle donne maltrattate si trovano a vivere in condizioni di povertà, impossibilitati ad aiutare, sono loro stessi a spingere le figlie ed i nipoti a rientrare a casa, nonostante le violenze”.

La mancanza di indipendenza economica e la paura relegano le vittime in un angolo, anche per la paura di perdere i figli.

E alla luce di tutto questo, come si comporta la legge per aiutare le vittime di violenza domestica, cioè le vere parti lese?

“Di solito per segnalare la violenza subita, una donna deve recarsi in ospedale per farsi visitare ed ottenere il referto medico che viene trasferito alle autorità per la verifica del tipo di violenza subita. Solo in seguito parte la denuncia e il marito viene convocato in tribunale” spiega Magda Adly, sottolineando che “l’ospedale può anche rifiutare di rilasciare il referto e non dare seguito alla denuncia, cosa che avviene spesso quando la prognosi è inferiore a 21 giorni”.

Va detto, poi, che non sono stati rari i casi in cui le donne che hanno deciso di denunciare siano state trattate in modo aggressivo dagli agenti di polizia, che “rimproverano le donne di essere lamentose per un piccolo litigio” e tentano di dissuaderle ripetendo “che non c’è motivo di denunciare il marito”. “È normale che in questo modo le vittime si sentono doppiamente sole” osserva Magda Adly.

Ma quando le donne vittime di violenza chiedono aiuto “siamo lì ad offrire loro quell’assistenza psicologica e legale di cui hanno bisogno. E siamo al loro fianco nel combattere quello stigma della società che le vede colpevoli di aver denunciato il marito”.

Si tratta di un percorso lungo che porta ad una nuova rinascita che “inizia con la consapevolezza dei propri diritti in quanto donna ed in quanto essere umano” conclude Magda Adly, più volte minacciata per il suo lavoro a favore delle donne egiziane.



Foto: Frontline Defenders

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