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VIOLENZA DOMESTICA in Germania ovvero UTERO ESPROPRIATO

VIOLENZA DOMESTICA in Germania ovvero UTERO ESPROPRIATO

La giovane madre denuncia le gravi violenze fisiche, ma lui, che ben conosce il sistema tedesco, l'accusa di volersene tornare in Italia con il bambino e ottiene così l'affido esclusivo.

Giovedi, 04/05/2017 - I due termini del titolo, avvicinati in un modo che può apparire insolito, sono in realtà l’estrema sintesi del sistema tedesco. Se però consideriamo che tale sistema è quello che ormai da anni viene esportato in tutta Europa, presto riguarderà anche il nostro sistema familiare nazionale. Questo articolo è dunque scritto per informare, ma anche per prevenire drammi a seguito di partenze verso l’eldorado tedesco e per promuovere la riflessione su quanto presto avverrà anche a casa nostra.



La vicenda di cui ci occupiamo oggi potrebbe apparire come una storia nota, una triste vicenda di violenza domestica, come se ne leggono ogni giorno. No. Nulla di tutto questo. Ciò che lascia allibiti e che invece non stupisce chi, come noi, conosce il sistema, è l’epilogo della vicenda.



La nostra M. è una giovane donna, nata e cresciuta in un paesino italiano. E’ bella, intelligente e con tanta voglia di scoprire il mondo. L’incontro con un bel giovane, cresciuto all’estero, si trasforma subito in amore e in un progetto di vita comune. Vanno a vivere in Germania, lei resta incinta, si sposano. Scoprire la Germania, il paese del futuro e della speranza coincide però con la scoperta di aver sposato un uomo violento. Estremamente violento. Ben presto M. si ritrova con il naso rotto, in mezzo alla strada con il figlioletto di pochi mesi in un paese nel quale è straniera e del quale ancora non padroneggia perfettamente la lingua. Dove cercare aiuto? Chiama il Consolato, chiama la famiglia in Italia e suo padre che parte subito per darle una mano. Ci hanno detto che lo Stato tedesco tutela le donne più di quanto non faccia l’Italia, ci hanno detto che in Germania ci sono moltissime Frauenhäuser (case per donne maltrattate), più di quante ce ne siano in Italia. Ma non ci hanno informato – e continuano a non farlo – del fatto più importante. Fatto di cui lui invece, il neo-padre, marito violento, cresciuto nella cultura Germanica, è perfettamente al corrente e lo usa immediatamente. Sostiene che la moglie abbia tentato di rapire il bambino e di portarlo in Italia e che l’arrivo del padre di lei lo confermerebbe. Non serve nient’altro. Il solo sospetto che un bambino possa essere portato al di fuori dei confini tedeschi costituisce una grave “messa in pericolo del bene del bambino” (Kindeswohlgefärdung) e dunque il piccolo viene immediatamente affidato al padre con provvedimento urgente del tribunale. Da allora M. vive in una casa per donne maltrattate, senza suo figlio. Le concedono di vederlo qualche ora, di fare cioè ogni tanto la baby sitter di suo figlio. Ora che il padre intende tornare al lavoro, i vari “esperti” che gravitano intorno al tribunale e allo Jugendamt consigliano di mettere il bambino in un nido perché solo così potrà “imparare la lingua tedesca” che, stando a questi signori, pare essere quanto di più importante ci sia nella vita di un bambino di un anno. Con lei, la mamma, continua il carosello delle false piste: “non le possiamo affidare il bambino perché non ha una casa sua e per il bambino non va bene vivere in una casa per donne maltrattate” (dove invece ci sono altri bambini). Se lei esprime il desiderio di cercarsi un lavoro in modo da potersi permettere di pagare un affitto ed avere un appartamento, si fa strada l’ipotesi di non poterglielo affidare perché appunto lavora. La televisione tedesca si è interessata al suo caso e ha girato un servizio ma ovviamente, nel raccontare quanto siano importanti e quale aiuto rappresentino le case per donne maltrattate, ha omesso di dire che il bambino è stato affidato in via esclusiva al padre violento, perché è il genitore che ne assicura la permanenza in Germania e l’educazione teutonica, mentre lei, la madre straniera, potrebbe volerlo rapire. Non serve a nulla dimostrare di aver imparato la lingua e cercare di costruirsi una vita in Germania, quindi di non pensare ad un ritorno in Italia, un sospetto del genere vale più di mille prove, in un tribunale familiare tedesco. Presto M. tornerà in tribunale per cercare di ottenere l’affido condiviso e le verrà rimproverato anche di aver parlato con noi e di aver svelato il vero motivo della sottrazione di suo figlio, quella operata dal sistema tedesco.

Marinella Colombo

Giornalista della European Press Federation

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