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Violenza di genere. Per Titti e le altre

Violenza di genere. Per Titti e le altre

Emilia Romagna - Come restituire fiducia in un Paese che non tutela le donne

Mori Roberta Domenica, 04/08/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2013

Pochi mesi fa a Rubiera, provincia di Reggio Emilia, è nato un Comitato di amici e parenti di una giovane donna che non c’è più. Tiziana “Titti” è stata uccisa in casa dal compagno nella notte del 20 aprile 2012 e lascia un figlio piccolo che non conoscerà mai la mamma. Hanno detto i suoi cari che il fatto è arrivato a sconvolgere le loro vite in modo inaspettato, il classico fulmine a ciel sereno che provoca prima dolore e poi rassegnazione di fronte alla confessione del reo e ad una perdita comunque incolmabile. Poi è successo qualcosa che, ancora una volta, non doveva accadere: l’uomo è stato scarcerato per un errore formale che ha scambiato la richiesta di giudizio in “decorrenza dei termini di custodia cautelare”. Ed è subentrata la rabbia, l’indignazione e nuovo dolore, perché “Tiziana è stata uccisa per la seconda volta”.

Il comitato Uniti per Titti è nato così, per chiedere che la Giustizia funzioni e sia tale. Certezza della pena innanzitutto e la richiesta che una normativa nazionale introduca il reato di femminicidio, oltre a rendere realmente applicabile l'attuale legge sullo stalking per una prevenzione più efficace. La fiaccolata organizzata a Rubiera lo scorso giugno, con le istituzioni locali coinvolte e presenti, non ha inscenato una retorica delle emozioni ma ha costituito un momento di testimonianza collettiva su punti cruciali della convivenza civile. Un momento di denuncia nei confronti di un sistema inadeguato nel suo complesso, socialmente ancora impreparato a riconoscere l'altro per ciò che è, culturalmente arretrato nel rispettare la donna per la propria soggettività ed il proprio essenziale protagonismo nel reggere - superandolo - il peso di secoli di discriminazioni.

Nel momento in cui scrivo sono 67 i femminicidi in Italia dall’inizio dell’anno, tra questi 5 in Emilia-Romagna; inoltre sono almeno 50 i casi di tentati femminicidi, tra cui 6 in regione. Un tale bollettino non basta ancora, perché ci sono tante altre forme persistenti e terribili di violenza contro le donne, non solo fisica ma psicologica o economica, una violenza molto subita e troppo poco denunciata. Tutto lascia pensare che una legge contro la violenza si farà presto: la Convenzione di Istanbul finalmente ratificata dal Parlamento e l’approvazione di una mozione bipartisan sono passi pesanti verso questo risultato. La violenza maschile sulle donne riconosciuta dal nostro ordinamento quale violazione dei diritti umani avrà effetti immediati in termini di difesa delle vittime e certezza delle pene. Senza questa cornice di regole la Giustizia non avrà mai gli strumenti adeguati e le cittadine e cittadini di questo Paese non crederanno più nella legalità. Il Parlamento vada dunque fino in fondo con una legge il più possibile organica, e tutte le Istituzioni dimostrino finalmente di essere dalla parte giusta nel contrastare uno dei fenomeni più cruenti e incivili che ci affliggono. Ad esempio Comuni e Regioni si costituiscano parte civile nei casi di violenza più grave e femminicidio, lo possono e lo devono fare per l’indubbia rilevanza sociale di crimini che incrinano le basi della nostra convivenza in uno stato di diritto.

La barbarie dei femminicidi non si riduce come ovvio ad una questione giuridica e va dunque affrontata nella sua reale complessità. Per questo nella nostra legge regionale per la parità e contro le discriminazioni di genere inseriremo vari interventi, che consideriamo necessari e da porre al centro di una iniziativa di livello davvero nazionale. Ciò vale per i Centri antiviolenza, che in Emilia-Romagna scontano l’insufficienza dei fondi pubblici sul welfare ma sono comunque riconosciuti come servizi garantiti e universali per le donne, mentre in tanta parte d’Italia la loro esistenza dipende solo dalla volontà degli enti locali o delle associazioni presenti sul territorio. Occorre poi un Osservatorio sulla e contro la violenza, che noi concepiamo come organo capace di coinvolgere e responsabilizzare istituzioni, forze dell’ordine, mezzi di comunicazione, associazioni, per una realistica lettura del fenomeno in tutti i suoi aspetti e un contrasto a 360°. Altrettanto importante è un serio investimento nelle politiche culturali e in quelle educative nelle scuole, finalizzato a sconfiggere gli stereotipi e i modelli che imprigionano la donna in ruoli sociali non scelti, non attuali, inaccettabili.

Niente di ciò che faremo restituirà Titti e nessun’altra donna ai suoi affetti. Lo sanno bene a Rubiera, dove hanno deciso di dare un senso alla rabbia e una speranza al cambiamento, chiedendo alle istituzioni di essere al loro fianco.



Roberta Mori, Presidente Commissione reginale per la parità



(Redazionale)



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