SALUTE BENE COMUNE - La violenza di genere è l’espressione più oscena del controllo dei corpi
Michele Grandolfo Domenica, 13/10/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2013
La violenza di genere è l’espressione più oscena del controllo dei corpi, come forma di biopotere, contro il principio universale dei diritti della persona umana, a partire dalla libertà e dall’uguaglianza. Nel biopotere la catena della subordinazione vede gli uomini in posizione intermedia come subordinati e oppressori. L’ideologia paternalistica produce lo stereotipo del maschismo, e chi rifiuta di aderirvi subisce forme di derisione ed emarginazione. La subordinazione degli uomini non appare quotidianamente grazie all’accettazione dello stereotipo, vissuto come normalità, il cui rifiuto richiede ripensamenti profondi, da effettuare individualmente e collettivamente. Non c’è consapevolezza che l’autonomia nella gestione delle “piccole cose” della vita quotidiana è il fondamento per l’autodeterminazione come individui e come comunità. L’illusione di essere forti perché si domina maschera la realtà dell’essere dominati. Tanto che i corpi degli uomini vengono asserviti all’esercizio della guerra, a cui si va baldanzosi, per farsi massacrare oltre che massacrare e stuprare, per l’interesse di poteri sovra determinati. Quando le istituzioni religiose benedicono vessilli, armi e corpi testimoniano la loro distanza dalla spiritualità.
La differenza dei generi rispetto all’esercizio del potere per conto di poteri altri, dalla sottomissione alla ribellione, dipende dalle esperienze di cambiamento che si vivono nella vita quotidiana e alla diversa percezione dei bisogni di qualità, come la possibilità di mettere al mondo nuove vite, se si vuole (non come destino ma piuttosto come potenza) che espone alla riflessione sulla qualità nelle responsabilità di cura.
Oggi si è consapevoli che l’azione di riflessione e del ripensamento deve essere stimolata e promossa nell’infanzia e nell’adolescenza. Nell’ambito della formazione, che può essere visto come recupero della memoria storica dell’umanità, si possono cogliere infinite occasioni da cui partire. In un convegno organizzato nel 2006 sui consultori secondo il Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI), venne riportata l’esperienza promossa da una professionista consultoriale in una scuola di Palermo. L’invito a tradurre il ripensamento sui vissuti e sulla memoria storica della comunità di appartenenza riguardo la violenza di genere in forme di drammatizzazione ha prodotto l’allestimento e la messa in scena di uno “spettacolo” sul tema. La qualità catartica di tale esperienza fu testimoniata dal rifiuto del protagonista maschile di rappresentare nella seconda replica il ruolo del protagonista violento, provandone vergogna. Spesso si sente reclamare l’assenza di una specifica legislazione sull’educazione sessuale nelle scuole, dimenticando che il POMI, legiferato nel 2000, ne raccomanda l’offerta attiva da parte dei consultori, con gli indicatori per la valutazione della qualità dell’intervento.
Dalle indagini che ho condotto alla fine degli anni novanta e in questi ultimi anni risulta che tale richiesta viene espressa dal 95% degli/lle adolescenti, a partire dalle scuole medie inferiori.
Vale la pena ricordare che la sessualità è l’ambito in cui entra in gioco la libertà della scelta e quindi è il fondamento dell’etica.
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