Martedi, 06/03/2012 - Le fatiche femminili nella mostra al Circolo Paradisi
Un centinaio di foto e cartoline ingiallite dal tempo, provenienti dalla raccolta del nostro socio Attilio Montorsi e suddivise in sezioni relative ai mestieri femminili in vari paesi europei, trovano nelle sale del Circolo Paradisi il giusto spazio per una testimonianza visiva sul lavoro, anzi sui lavori consentiti alle donne nel corso del XIX e XX secolo.
L’esposizione di queste immagini “storiche”, nell’ambito della imminente ricorrenza della mimosa, si terrà il 3 di marzo alla presenza delle autorità locali; essa intende essere, un riconoscimento ed un apprezzamento a tutte le donne che attraverso sacrifici, “sottomissione” e disponibilità si sono sottoposte ad una doppia fatica sia all’interno della famiglia che nel mercato del lavoro.
Tale iniziativa, caldeggiata e voluta dallo stesso Montorsi, ha trovato una risposta più che positiva nell’Associazione “Mezaluna”, per la sua esperienza in imprese siffatte, e nel Circolo Paradisi che ha messo a disposizione i locali della propria sede e le proprie capacità organizzative ed operative atte ad offrire all’attenzione del pubblico un materiale così raro e prezioso dal punto di vista del costume.
Le immagini esposte, che sembrano uscite da antichi dagherrotipi, riguardano in buona parte il mondo agricolo con giovani in posa davanti all’obiettivo, rivestite dei loro abiti “della festa” ed ornate “di rose e di viole”, come la donzelletta di leopardiana memoria. Il sorriso che aleggia sui loro volti le fa apparire serene e senza pensieri, probabilmente ignare ed estranee alle rivendicazioni sociali del loro tempo ed alle sanguinose manifestazioni nelle piazze e nelle fabbriche, dove altre donne, “le suffragette”, cercano di ottenere migliori condizioni di vita e il diritto al voto che, pur confusamente viene loro riconosciuto dai due grandi partiti di allora: il liberale e il socialista.
Il mondo rurale infatti, a cui appartiene la maggior parte delle donne impegnate in un lavoro, è sempre stato avverso ai cambiamenti e ai “moti”, amante della pace e geloso della propria capacità produttiva, ottenuta attraverso le braccia “famigliari”, destinate ad un lavoro secolare, organizzato in maniera patriarcale.
Spesso, secondo lo scrittore Teresio Bosco, il capo famiglia, con atteggiamenti simili al “pater familias” latino, affittava i figli di entrambi i sessi al “padrone” o all’artigiano, perché diventassero servette o garzoni ed imponeva alle fanciulle di curare le lunghe trecce dei loro capelli che avrebbero poi tagliate e vendute a 18 anni per prepararsi il corredo da sposa. E’ da vicende come queste che si può capire l’importanza delle “suffragette” nell’ottenere in Europa e negli Stati Uniti, all’inizio del XX secolo, anche attraverso la lotta fisica con le forze dell’ordine e gli scioperi della fame, il riconoscimento dei diritti degli adolescenti ed il suffragio femminile. Anche in Italia nel 1923 vi sarà un timido “esempio” di voto alle donne, purchè con titolo di studio e di buona famiglia, per l’elezione del Sindaco; l’anno successivo però il Sindaco si trasformerà in Podestà di nomina governativa e tutto finirà nel dimenticatoio. Bisognerà attendere il 1945, a guerra finita, perché un decreto di Umberto di Savoia riconoscesse legalmente il suffragio universale femminile che si concretizzerà nel referendum del 2 giugno 1946 per la scelta tra Monarchia e Repubblica.
Procedendo tra i pannelli della mostra, si rimane sorpresi dal caleidoscopio d’immagini che ritraggono donne nelle più disparate attività: lavandaie presso un lavatoio sul fiume Reno; mondine curve nelle risaie di Vercelli, in seguito immortalate da Silvana Mangano nelle sequenze neorealiste di “Riso Amaro”; acquaiole nei loro tipici costumi regionali che alla fonte attingono acqua per uso domestico; bariste in piena attività di mescita; ragazze del tiro a segno che, sulle orme della Loren ne“La Riffa”, invitano militari e … ragazzi ad imbracciare la carabina; sartine e filatrici orgogliosamente schierate dietro i loro strumenti professionali; balie che ostentano pargoli ben pasciuti; domestiche impettite ed eleganti nelle pettorine della casata; infermiere e maestre intente a svolgere gli unici servizi pubblici che la società maschile permetteva loro.
A queste ultime infatti, come riporta Lucetta Scaraffia in “Nuove Professioni”, era riservata la possibilità di insegnare negli asili e nelle classi elementari e il loro ruolo era concepito come educativo in senso morale, piuttosto che in senso propriamente intellettuale, in sostanza un prolungamento del ruolo materno… pochissime erano le insegnanti di scuola superiore.
Questo rapido excursus storico sul mondo delle donne nel secolo appena trascorso, suggerito ed illustrato dai grandi pannelli presenti nella mostra, ci aiuta a comprendere come il lavoro femminile si sia progressivamente differenziato tra attività professionali ed attività svolte all’interno della famiglia. Le prime, retribuite e regolate dalle canoniche otto ore, le seconde invece, spese in famiglia e per la famiglia, completamente gratuite e non considerate nel campo dell’occupazione di mercato, forse meno gratificanti ma altrettanto importanti. Del resto anche sul nostro territorio le donne, per decenni, si sono impegnate in una doppia mansione sia di carattere commerciale che domestico. Nella mente di molti di noi, infatti, è ancora vivo il ricordo di strade cittadine affollate da persone di sesso femminile in bicicletta che, cantando, tornavano alle proprie abitazioni per accudire alle faccende domestiche, dopo aver “faticato” alla Sipe, alla Cirio, nei magazzini da frutta, nelle maglierie e nelle segherie. E’ proprio da questo costante impegno femminile che l’economia delle nostre famiglie ha ricevuto un impulso decisivo per la conquista di un soddisfacente benessere, come si evince dall’alta presenza di persone fornite di titoli di studio e di Vignolesi proprietari dell’abitazione in cui vivono. Uscendo dalla mostra e riconsiderando quelle immagini di “the way we were”, cioè di come eravamo, sorgerà senz’altro spontaneo e naturale un sentimento di ammirazione per persone che, attraverso un lungo e faticoso percorso, hanno saputo ottenere gli stessi diritti e le stesse funzioni sociali degli uomini. La strada per una completa emancipazione rimane però ancora irta di difficoltà, specialmente quando si tratta di applicare le “ quote rosa”, di eliminare atteggiamenti di “mobbing” nei luoghi di lavoro e di evitare giudizi e sentenze particolarmente odiose nei confronti di reati di ordine sessuale, di cui “responsabili” vengono troppo spesso considerate le donne.
Per il Circolo Paradisi e Associazione Mezaluna
Arturo Barani
La mostra resterà aperta fino all'11 marzo
Orari di apertura:
Sabato e Domenica dalle 10 all 12 e dalle 16 alle 19,30
da lunedì a venerdì dalle 18 alle 19,30
presso il Salone del Circolo Paradisi - Via Paradisi n. 11 Vignola (modena)
Lascia un Commento