Poesia / Ana Guillot - Versi che si abbeverano alla carne, allo spirito, alla passione in una delle voci più importanti della poesia argentina contemporanea
Benassi Luca Martedi, 02/02/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2010
La poesia contemporanea, in Italia come all’estero, corre il rischio dell’infingimento, di chiudersi a ridosso della barriera del linguaggio, dietro quello che gli addetti ai lavori chiamano il gergo poetico. Le ragioni sono diverse: desiderio di appartenere alla comunità dei poeti come voce ‘nel’ coro, di piacere a un pubblico assuefatto a stili e accenti consolidati, soprattutto la speranza di accedere ai canali editoriali compiacendo critici e direttori di collana. Ma la poesia vera, quella che rimane nel tempo continuando a trasmettere il valore del suo messaggio, deve rompere il consolidato, modificare prospettive, intenzioni, battiti, esplorare l’inesplorato portando avanti di un passo il cammino dell’essere umano; una poesia che si abbevera, senza nascondersi e mentire, all’essenza della vita, del corpo, dello spirito. Si tratta, senza dubbio, di qualità che appartengono ai testi della poetessa argentina Ana Guillot, testi di donna che parlano dell’essere donna, del mistero dell’esistenza che nasce nel corpo, delle sue trasformazioni, della passione che squassa le membra, dell’amore, di una sensibilità capace di comprendere e rappresentare il mondo. Si tratta, dunque, di una poesia corporea, muscolare, che batte il tempo con gli spasmi del grembo e il fremito della carne. Scrive Antonia Buscemi dell’associazione culturale ‘Le Melegrane’ che ha presentato la poetessa all’Ambasciata argentina di Roma, lo scorso 19 novembre 2009: “occupa la pagina, dunque, una nudità vissuta nella sua espressione netta, senza inclusione del peccaminoso o del morboso, connotato della specie – la selva del pube, l’imene, i capezzoli…- Parole sempre gonfie della carne che vive anche dei turbamenti connessi, ma la Guillot è altresì consapevole del peso di essere /una femmina che eccita e sospira, condizione che, ammette, talora si trasforma in potere.” Ecco dunque una poesia che è potenza e soggezione della carne insieme, attraverso un linguaggio netto, a volte essenziale, senza punteggiatura, frammentato spesso in versi brevissimi, eppure sempre attenta al suono, a un’armonia che incanta chi ha avuto la fortuna di ascoltare la voce della poetessa recitare in spagnolo.
Ana Guillot è nata a Buenos Aires nel 1953. Laureata in Lettere, ha lavorato come docente per la Scuola Media Superiore e l’Università. Coordina i laboratori letterari e tiene seminari di letteratura e mitologia in Argentina e all’estero. Come docente ha pubblicato “Il laboratorio di scrittura in ambito scolastico” e “Vuoi che ti racconti il racconto?” Tra le sue raccolte di poesia ricordiamo: “Curva di donna” (1994), “Aprire le porte (per andare a giocare)” (1997),“Mentre dorme l’innocente” (1999), “Gli spazi possibili”(2004), e “La riva familiare” (2008). Le sue poesie sono state pubblicate in diverse antologie e ha collaborato a pubblicazioni in Argentina e all’estero. È membro del consiglio editoriale della rivista Barataria. È stata invitata a partecipare a incontri in Argentina e all’estero; parte della sua produzione è stata pubblicata in Spagna, Venezuela, Cile, Uruguay, Messico, Austria, Stati Uniti, Italia, Nicaragua, Perú, Brasile e Porto Rico. Il suo primo romanzo “Chacana” è inedito; attualmente sta lavorando a due nuovi libri.
Le poesia qui pubblicate sono inediti nella traduzione di Cristiana Lucci.
a Isabel Krisch
non desistono gli astri
(ermeticamente giratori)
non smettono di nominare
i particolari
i punti principali
zigzag nel lampo
che fende l’azzurro pomeriggio
un’incisione di rossi quel che resta
la femmina fa scivolare la pagoda
sull’estremità
dell’alloro
una regina nel suo tacco
che diminuisce il diluvio
e permane
Madri
lei colleziona i piccoli e li morde
a fette li morde
mammina sconsigliabile
che bolle i suoi ardori
loro disperdono briciole per non perdersi
al ritorno
lei mordicchia le briciole
e sputa nel paiolo quel che resta
poi affonda i denti sulla spalla
lascia un segno notorio
loro si nascondono tra gli scaffali dell’armadio
obbediscono al tatuaggio minore
della tanto mammina
lei dorme ad intervalli e vigila
che i suoi piccoli non scappino
di giorno loro spazzano puliscono
la casa della madre
le tendono il sostegno ed il nome
affinché lei sappia chi è
i bambini dal segno sulla spalla
patiscono di madre di tedio
si nascondono ancora si trascurano
lei veglia ordina la lussuria
del suo spazio
si espande madre madre la tanto madre
finché non si può quasi respirare
loro perdurano nel seno latteo
nel capezzolo gocciolante legature
con le labbra aperte boccheggiando
la schiuma dello loro madri
un limbo acquatico
e fetale
a Flor (una delle mie figlie), a Isabella (mia nipote)
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