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Viaggio nelle profondità dell’animo

Viaggio nelle profondità dell’animo

Profili/ Sabina Spielrein e Carl Gustav Jung - La melodia dell’ambivalenza e la trasformazione dell’amore nella scrittura di Sabina Spielrein

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2005

Sabina Spielrein (1882? – 1942) è un nome che si ricorda dal film di Roberto Faenza “Prendimi l’anima”, che racconta la storia d’amore tra Jung e questa sua giovane paziente, allieva e infine “collega”, come Freud la appella nelle lettere a lei indirizzate. La storia umana e professionale di Sabina è stata anche raccontata in un’opera teatrale scritta e diretta da Maria Inversi nel 1999, “Oggi voglio essere felice”, ed in un film documentario della regista svedese Elizabeth Martòn, dai quali emerge la personalità di una donna che lotta per la propria autoguarigione e ricostruisce, a partire da quanto appreso dalla malattia stessa, una professione ed un progetto di vita utile sia a sé che agli altri: lavora in un primo momento come psicoterapeuta in Germania e poi, rientrata nella natia Russia, (dove morirà uccisa da una retata nazista contro gli ebrei) fonda l’Asilo Bianco di Mosca in cui sperimenta, con un certo successo, metodi pedagogici derivati dalla sua approfondita conoscenza della psicoanalisi.
Leggere gli scritti di Sabina significa attraversare un percorso esistenziale che non trascura niente della complessa vita della mente, e che coglie nella ambivalenza e pluralità delle tendenze individuali una risorsa per la formazione di personalità sane. Tutta la scrittura di Sabina risulta intenta ad esplorare la “più profonda e oscura vita istintuale dell’eterogeneo inconscio”, a riconoscere i desideri rimossi, “immorali e insopportabili per la coscienza”, senza trascurare “tutti i problemi profondamente etici, i problemi di orientamento e tutta la saggezza atavica, della quale non ci rendiamo conto perché il nostro conscio è solo una particella piccolissima di questo enorme sistema coordinato, la particella che ci è necessaria in ogni momento per adattarci al presente. E cos’è il presente?” (Lettere a Jung, in A. Carotenuto Diario di una segreta simmetria, Astrolabio).
Per Sabina compito del/la terapeuta è entrare in contatto con le parti profonde, e quello che più importa “per l’attività professionale” è “la comprensione intuitiva del malato perché la psicoterapia pratica è un’arte di guarigione”. Comprensione che Sabina recupera dalla sua personale esperienza di autoguarigione, e “pratica di pozzi”: di discesa “alle più profonde radici del nostro essere umano, da cui nel riaffiorare portiamo in noi esperienze tali che ci permettono di comprendere la debolezza, i sogni, le malinconie, le aspirazioni, e insomma tutti quei sentimenti che formano e migliorano l’animo umano. …Nel pozzo sono pure tutte le dolorose e sublimi verità dell’amore …ma quando si cade nel pozzo si sa anche che essere felici non è poi così importante: è importante sapere tutto quello che si sa quando si viene su dal pozzo”, di cui scriveva Alba De Céspedes in una lettera a Natalia Ginzburg, (in A.M. Crispino, Un prezioso regalo, “Tuttestorie”, 6/7, 1992).
La scrittura di Sabina Spielrein, risulta rivolta a una continua acquisizione di consapevolezza, trasformazione e crescita: per questo prima di rivolgere la riflessione al macrocosmo sente il bisogno di chiarire come funziona il microcosmo interiore, a costo di attraversare percorsi imprevisti e ambivalenti. E così i dialoghi intimi, le aspirazioni di libertà (“Voglio essere decisa e libera”) e di volontà (“una volontà che stava in agguato nelle profondità gelide e che nessuna barriera avrebbe potuto fermare”), la determinazione ad amare (“Amarlo? Ma lo amo! Il mio lavoro sarà colmo d’amore! L’amo e lo odio, perché non mi appartiene”), o al controllo di sé (“devo farmi un impacco sulla testa perché la passione che sento per lui mi rende febbricitante!”), le immagini dei sogni e le contraddizioni della sua anima, diviene tutto materia per una metariflessione, che ‘emerge’ nel diario, viene ‘discussa’ nelle lettere e si sviluppa in un discorso teorico che guarda senza reticenze alla pluralità e ambivalenza della vita.
Nel saggio La distruzione come causa della nascita Spielrein afferma: “l’istinto riproduttivo è costituito da due componenti antagonistiche ed è perciò altrettanto un istinto di nascita quanto di distruzione”, riconoscendo nell’amore il luogo per eccellenza in cui la contraddittorietà e problematicità dell’esistenza si manifesta. Scrive ancora: “Nell’amore la dissoluzione dell’Io nell’amato è contemporaneamente la più forte affermazione di sé, è una nuova vita dell’Io nella persona dell’amato. Se nell’amore non c’è la rappresentazione di una trasformazione dell’individuo psichico o fisico sotto l’influsso di un potere estraneo, come nell’atto sessuale, è allora una rappresentazione di annientamento e di morte. L’istinto di conservazione è un istinto semplice che consiste solo in un elemento positivo, l’istinto della conservazione della specie invece, che deve dissolvere ciò che è vecchio affinché il nuovo possa nascere, consiste in una componente positiva e in una negativa, l’istinto di conservazione della specie è per sua natura ambivalente; perciò la stimolazione della componente positiva evoca anche quella negativa e viceversa” (da La distruzione come causa della nascita in Sabina Spielrein, Comprensione della schizofrenia ed altri scritti, Liguori, Napoli, 1986).
L’amore, esempio e metafora di trasformazione, contiene sia la polarità negativa che quella positiva, ed è al contempo luogo di distruzione e nascita: luogo di quella continua trasformazione necessaria affinché la vita possa mantenersi e proseguire. Se per essere autosufficienti basta l’istinto di conservazione senza amore, per la conservazione della specie è necessaria questa compresenza di opposti e disponibilità a fare dissolvere il vecchio affinché il “nuovo”, l’imprevedibile, possa nascere. Inoltre, Sabina idealizza nella creatura spirituale “Sigfrido”, il figlio perfetto scaturito dell’incontro amoroso tra gli opposti: dall’amore tra un uomo e una donna come lei e Jung. Sabina arriverà a capire “di essere troppo giovane, troppo inesperta, troppo idealista” e a dare ragione a Freud, che in una lettera del 1914 la invita a rivolgere “i Suoi sforzi per un’attività pedagogica” e dimenticare il suo “ideale infantile”. Sabina stessa in una lettera del 1918, ormai abbandonato il suo amore per Jung, definirà “fantasia” Sigfrido e riconoscerà: “il mondo va così, perciò è difficile trovare la propria strada nella vita pratica partendo dai sogni”.
Sabina, però, a differenza di Jung e Freud, pratica come è di pozzi e di risalite, sa quanto importante sia trovare un luogo “in cui riesco ad abbandonarmi completamente”, in cui sentire tutta la pluralità dell’esistenza, in cui potere errare da un polo all’altro e viceversa. Questo luogo prescelto è per Sabina la musica, che lei stessa suonava e componeva. Scrive a Jung nel 1918: “Anche un cieco avrebbe visto che per me la musica non era una posa, ma un bisogno interiore. Il bisogno represso si è spesso manifestato inadeguato e con tale posa che Lei una volta mi disse che dedicandomi alla musica avrei potuto perdere la ragione”. Già otto anni prima Sabina rivelava a Freud: “È stato Wagner a portarmi nell’anima il demonio con terribile chiarezza. Voglio fare a meno delle metafore, perché forse lei riderà della esuberanza dei miei sentimenti. Il mondo intero era per me come una melodia: cantava la terra, cantava il lago, cantavano gli alberi, ramo per ramo”.
La scoperta e attraversamento di una melodia, composta con la esuberanza e chiarezza di un’anima di donna che ama e sa porsi in ascolto e che sa “tutto quello che si sa quando si viene su dal pozzo”, è per Sabina un luogo di integrazione e ritrovamento del sé. Per Gregory Bateson “ciò che si deve integrare sono le diverse parti della mente – in particolare quei molteplici livelli di cui un estremo è detto ‘coscienza’ e l’altro ‘inconscio’. Perché si possa conseguire la grazia, le ragioni del cuore debbono essere integrate con le ragioni della ragione” (Verso un’ecologia della mente, Adelphi, p. 167). Sabina, riemersa dal pozzo della sua malattia, scopre che solo la consapevolezza della compresenza ed alternanza di moti opposti dell’animo, di “componenti antagonistiche”, può riuscire ad evitare la rottura del sistema e la crescita di personalità integrate. Solo un flusso esistenziale consapevole e non “censurante” può permettere di trovare l’armonia, la grazia, di “questo enorme sistema coordinato”, che è la nostra mente.

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