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Verso una ‘filosofia del risveglio’

Verso una ‘filosofia del risveglio’

Illuminata umanità/1 - Oltre l’individualismo, nel rispetto dell’umanità in noi e negli altri. Intervista a Roberta De Monticelli

Bartolini Tiziana Venerdi, 23/12/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2011

Il periodo che attraversiamo è molto difficile non solo sul piano politico e economico. Noi italiani/e siamo alle prese con una crisi profonda che coinvolge anche le relazioni personali, il nostro vivere e sentirci parte di un tutto. Negli ultimi decenni è prevalso l’individualismo e l’egoismo, ci siamo arresi al primato dell’avere sull’essere. Però ora vacilla l’idea che quello stile di vita sia l’unico possibile e vincente e siamo alla ricerca - o riscoperta - di valori. Con la Professoressa Roberta De Monticelli, docente di Filosofia della persona all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, abbiamo parlato di solidarietà e relazioni umane.

“Ne La questione morale (Cortina 2010) ho citato alcuni passi dal Discorso sui costumi presenti degli italiani di Leopardi (1824), dove parla di una specie di accidia da mancanza di prospettive e di futuro:

Or la vita degl’italiani è appunto tale, senza prospettiva di miglior sorte futura, senza occupazione, senza scopo, e ristretta al solo presente .

Il disincanto, “il disprezzo e l’intimo sentimento della vanità della vita”, che a questo e ad altre peculiarità nazionali conseguono, sono disastrose per i “costumi”.

Nasce da quelle disposizioni la indifferenza profonda, radicata ed efficacissima verso se stessi e verso gli altri, che è la maggior peste de’ costumi, de’ caratteri, e della morale.

Per dirla più chiaramente, da questa disperazione e da questa indifferenza viene “la disposizione più ragionevole”:
quella di un pieno e continuo cinismo d’animo, di pensiero, di carattere, di costumi, d’opinione, di parole e d’azioni… [dove] il più savio partito è quello di ridere indistintamente d’ogni cosa e di ognuno, incominciando da se medesimo.

E così
Gl’italiani ridono della vita: ne ridono assai di più, e con più verità e persuasione intima di disprezzo e di freddezza che non fa niun’altra nazione… Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico de’ popolacci.

Leopardi non ci risparmia un solo dettaglio di tutte le cose che conosciamo bene – dal massacro reciproco che in ogni ambiente si consuma attraverso la denigrazione e derisione del prossimo, al destino che subisce chi per avventura è sensibile alle punture (gli altri “più s’infervorano a pungerlo e annichilarlo”), alla disistima di se stessi che a lungo andare questo gioco produce, insieme all’indifferenza per la propria reputazione, con le sue perniciose conseguenze morali, perché

Un uomo senza amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni .
Questo è un punto importante. Bisognerebbe tenerlo presente quando si parla di individualismo. Con questa parola si intende di solito l’atteggiamento dell’egoista, senza altri interessi che il proprio. Ma questo è precisamente, nella maggior parte dei casi, ‘l’individuo senza amor proprio’: incapace di rispettare l’umanità in se stesso, è incapace di rispettarla anche negli altri. Più che all’individualità aperta all’universale della persona matura e autonoma, la vita di questo individuo corrisponde a quella del ‘particulare’ di Guicciardini. Quello che chiamiamo individualismo è spesso in realtà particolarismo.

Perché l’individuo maturo e completo, la persona capace di autonomia morale, iniziativa e creatività, e capace di rispetto dell’umanità in se stesso, non è incline all’altra degenerazione della comunità cui bisogna far attenzione quando si parla di solidarietà. Quella degenerazione specificamente italiana che è la consorteria: origine di ogni forma di cooperazione ingiusta, dal familismo amorale alla criminalità organizzata, è la tendenza a co-operare non nel rispetto del dovuto, ma conformemente al vantaggio dei cooperanti qualunque sia lo svantaggio di terzi estranei all’accordo di cooperazione, e quindi della comunità più vasta cui il gruppo dei cooperanti appartiene.
Ogni riflessione sulla solidarietà assente dovrebbe essere preceduta da una riflessione sulle condizioni della cooperazione giusta. Ma anche sul blocco della maturazione personale degli individui causata dalla struttura consortile della nostra società. In La questione morale si analizzava qualche aspetto degli esiti drammatici di blocco della crescita personale e morale che ha il costante peggioramento delle prospettive di indipendenza dei giovani rispetto alla famiglia di provenienza, specie quando si associa alla struttura consortile del mercato del lavoro italiano: allora in molti sensi “non si esce più di casa”, non si parte più per il viaggio più importante della vita, cioè diventare se stessi.

Per analizzare con precisione la struttura consortile della società italiana, con l’onnipresenza delle sue organizzazioni, dalle più privilegiate caste agli ordini professionali e corporativi di ogni grado, dai notai ai professori universitari ai tassisti, si trova a disposizione una letteratura ormai vastissima. Sarebbe necessario approfondire anche la natura di quel fenomeno scoraggiante che sono oggi i partiti, dove la logica consortile funziona sistematicamente per la promozione dei mediocri e dei conformisti, in misura direttamente proporzionale alla pochezza di idee, quando non alla promozione di affari vantaggiosi.



Quanto e come la ‘questione morale’, così come l’ha esaminata, si lega alla parola solidarietà?

Solidarietà vuol dire cooperazione basata sulla giustizia, per questo da noi è così difficile re-impostare una progettazione che tenga conto del welfare e del benessere, mentre una cultura comunitaristica è stata addirittura prevalente, ma in una versione totalmente distorta: penso al familismo o alle consorterie. Ripensare su questo sfondo una cooperazione giusta, significa ripensare anche la nozione stessa di individualità. Cioè lo sforzo a disgiungere giustizia e libertà, la libertà come responsabilità degli individui. Da un lato, quindi, una maturazione degli individui come condizione indispensabile perché il complesso della vita civile si orienti anche in maniera più solidale, ma se sotto il concetto di solidarietà non ce n’è uno che applica un’idea di universalità dei doveri, oltre che dei diritti, io credo che il solidarismo rischia di diventare una forma di ulteriore ingiustizia.



Nel suo nuovo libro, ’La questione civile’ (Cortina, 2011), lei parla di ‘erosione di senso, di speranza e quindi di slancio creativo e di felice dedizione all’opera, sia la propria o quella di molti” e osserva che “è questo respiro che ci manca a ridurre in cenere i nostri giorni”. Come e quanto ciò è in relazione alla vita sociale in cui reciprocamente ci si riconosce rispetto e aiuto?
Se non passiamo attraverso la conoscenza e l’approfondimento del significato di questi anni non riusciremo ad operare, prima di tutto in noi stessi, i cambiamenti necessari per costruire una società giusta e solidale. Cosa è la sofferenza? È la percezione del disvalore che coinvolge le nostre vite, anche di chi non è responsabile direttamente della politica che ci ha portati come nazione nella situazione dove ci troviamo ora. Noi sentiamo svalorizzata la nostra vita perché abbiamo pur sempre accettato giorno dopo giorno quella che ho chiamato la cultura dell’oscenità. C’è questo di spaventoso: di solito mettiamo da un lato i valori estetici, cioè quello che è un sovrappiù o un lusso, e dall’altro la giustizia e il necessario, i bisogni. Invece le due dimensioni si tengono in modo stretto. Sono partita in questo ultimo libro nel constatare la gravità della distruzione che abbiamo fatto delle qualità caratteristiche del nostro volto nazionale: la bellezza dei nostri paesaggi storici e naturali e, in senso più lato, la nostra cultura e la nostra lingua. La solidarietà è anche questo: evitare una dissipazione delle risorse comuni, che non sono monetizzabili qui e ora perché appartengono alla nazione e, in certi casi, all’umanità. Non vedo possibile giustizia senza apprezzamento dovuto a quello che chiamo bellezza, ma che è paradigma di ogni valore, la preziosità di ciò che vale di per sé anche se non porta subito vantaggi.



In La questione civile lei “abbozza una filosofia del risveglio” e poi parla dei “giovani progettisti di civiltà nuove”. Questo legare il risveglio ai giovani è il suo sguardo positivo verso il futuro?
Io insegno e vedo la freschezza delle forze intellettuali e potenzialmente anche morali. Lì ho contrapposto un modello dominante di ‘normalità’ che ho chiamato del sonnambulismo morale, che intendo come una sorta di disattenzione o indifferenza che produce restringimento della coscienza. Non ci rendiamo più conto dell’oscenità che ci circonda, dell’orrore dei comportamenti, e abbiamo perduto in molti casi quell’elemento fondamentale dell’altro modello dell’umanità, che tutto sommato ha nutrito ciò che di meglio è successo in occidente: il modello socratico, cioè quello della Bibbia morale, in senso lato. Ogni cosa che facciamo può essere fatta in modo raffazzonato oppure realizzata con una costante interiore richiesta di adeguatezza. Morale è tutto: dall’apparecchiare una tavola come si deve al preparare una lezione come necessario. Il di più che propongo è un approfondimento dei nessi tra sfere che possono sembrare diverse. Filosofia del risveglio è capire che c’è un elemento anche spirituale della progettazione politica. Dove ‘spirituale’ non è inteso in senso religioso, ma è l’approfondimento della grande tradizione dei diritti dell’individuo alla base della modernità democratica. Dobbiamo ora approfondire la cultura dei doveri, questo vuol dire la percezione profonda del nesso dell’uomo con l’universo, è l’apertura ulteriore anche nella progettualità politica, che occorre per andare avanti. L’apertura all’eccedenza spirituale è semplicemente lo slancio senza il quale non andiamo mai oltre ciò che facciamo già e non approfondiamo, anche e soprattutto, la dimensione dell’esperienza di valore. Capire i nostri effettivi bisogni è un modo con cui ci rendiamo conto di quello che accade. Ai giovani progettisti chiedo anche uno studio della nostra infelicità per individuare progetti politici che assicurino miglior vita a tutti.









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