Intervista a Ilaria Borletti Buitoni - Alla base della coscienza civile di una nazione c’è l’amore per l’arte, per la natura, per i valori civili e per la cultura
Ribet Elena Domenica, 12/12/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2010
Ilaria Borletti Buitoni è milanese per nascita e cittadina del mondo per vocazione. Da sempre impegnata ai massimi livelli in ambiti imprenditoriali e nel volontariato, ha fatto dell’impegno civile la sua principale aspirazione. Da gennaio 2010 è presidente del FAI, Fondo Ambiente Italiano.
L’Italia sta vivendo una profonda crisi culturale, economica e anche politica. Secondo lei esiste ancora una dimensione pubblica dell’amore, inteso come impegno per un bene comune?
Esiste poco di questo tipo di ‘amore’ se paragoniamo l’Italia a un paese come l’Inghilterra. Ma se guardiamo entro i nostri confini, questo ‘amore’ inizia a farsi di nuovo sentire. Rispetto a dieci anni fa, la percezione che il patrimonio culturale sia un bene comune è più forte. Certamente siamo ancora troppo indietro, basti pensare al fatto che il National Trust può contare su tre milioni e mezzo di soci. Questo ci fornisce un’indicazione sia per quanto riguarda il sentimento delle persone nei confronti delle eredità artistiche che di quelle naturali. Ma ho l’impressione che stiamo migliorando, più fra le persone che nelle istituzioni.
In che modo, secondo lei, proprio le istituzioni insieme alla cittadinanza possono collaborare per una ‘ricostruzione civile’ del nostro paese?
L’unica forma di collaborazione utile è che per la politica diventi un imperativo aggiungere nei suoi programmi la tutela del patrimonio culturale. Ma il fatto di ‘sentirlo’ come qualcosa di giusto e irrinunciabile non può che venire dalla società civile, la quale si esprime in tal senso e si fa portatrice di istanze precise. Credo che si debba ripartire dal sistema scolastico italiano, che è in crisi ormai da vent’anni. L’amore per l’arte e per la natura si insegna a scuola, invece il nostro paese ha prediletto valori molto diversi, chiamiamoli ‘televisivi’, e questo ha messo in secondo piano quei valori civili e di cultura che fanno parte della coscienza civile di una nazione. Questa dicotomia partecipata porterebbe senz’altro ad adottare misure, peraltro già in atto in altri paesi europei, che permetterebbero non solo la cura e la salvaguardia delle bellezze del nostro Paese, ma anche un impegno assunto in prima persona, da ciascuna persona.
Quali sono queste misure?
In primo luogo occorre limitare il consumo di suolo che in Italia è il più alto d’Europa, proteggendo il paesaggio e l’ambiente. In secondo luogo si potrebbero incentivare i soggetti privati, sia proprietari che finanziatori, a sostegno della tutela del patrimonio d’arte, ad esempio attraverso agevolazioni quali la detassazione. Questo avviene normalmente in Inghilterra, dove per la valorizzazione e la gestione dei beni culturali i soggetti privati non solo sono determinanti, ma lavorano con un forte spirito di cooperazione e in sinergia con gli apparati pubblici, i quali hanno, a loro volta, efficaci strumenti normativi di controllo. In terzo luogo, penso che per i cinquanta siti più importanti d’Italia, tra cui Pompei, si dovrebbe realizzare una situazione analoga a quella della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano oppure del Vaticano, cioè squadre permanenti che monitorizzino lo stato dei beni in questione con una manutenzione competente e costante.
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