Intervista a Marina Morpurgo - Una visione di Israele laica e di sinistra, un'analisi della pesante situazione dei rapporti nella regione e il ruolo dei vari soggetti. Donne comprese
Bertani Graziella Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2007
Non so voi, care amiche, ma leggendo la bella intervista a Luisa Morgantini del dicembre scorso che afferma che “basterebbe ascoltare le voci delle donne e gruppi interni a Israele che riconoscono il diritto di vivere insieme, ciascuno nel proprio stato” e pensando alle parole di una direttora del nostro giornale - Miriam Mafai – del dovere della sinistra italiana di avviare una fase seria di riflessione sull’ebraismo nazionale e non oltre alle recenti vicende internazionali sento forte in me il desiderio di “cominciare ad affrontare questo tema”.
Personalmente non dispongo di relazioni politiche forti ma quando ho sentito accennare il nome: Marina Morpurgo - che di sé propone questa biografia “nella vita di tutti i giorni fa la giornalista a Milano (attualmente è caporedattore del settimanale Diario) e scrive cose che si spera siano vere. Nei giorni di festa invece scrive storie inventate (vi ricordate Sofonisba?), sperando di far ridere. Ha due figli che la incoraggiano blandamente, purché la scrittura non vada a scapito della preparazione dei pasti a cui fa eco, di sinistra, ebrea – mi sono detta: “ecco possiamo cominciare con lei”. E Lei, ovviamente, non si è sottratta a questo nostro incontro.
Che definizione possiamo dare, o meglio che definizione vuole che diamo di e quale assegna lei ad Israele?
Visto che non ho un pensiero di carattere religioso la mia visione di Israele è puramente politica: l'ho sempre considerato come quello che sulla carta avrebbe dovuto essere l’assicurazione sulla vita degli ebrei. Il pensiero del focolare nazionale è nato nel momento in cui in Europa sono nati i movimenti nazionalisti, e le persecuzioni che contro gli ebrei c'erano sempre state hanno preso un sapore diverso. L'idea di Israele è nata in quelle condizioni, era una risposta, forse anche l’unica che in quel momento si poteva dare all’antisemitismo. Per questo mi inferocisco quando sento dire da qualcuno che Israele è nato come stato coloniale. Significa che non ha capito niente; le potenze coloniali che c’erano”in zona” si sono mosse in senso opposto.
Che cosa sta succedendo là e nella diaspora che noi non comprendiamo. Che cos’è che manca o che si è spezzato. Forse la debolezza della sinistra israeliana, l’incertezza del momento e il revisionismo storico stanno rafforzando un fronte antisraeliano della sinistra internazionale?
E’ una faccenda complicata e anche dolorosa e a mio parere costituisce l’aspetto fondamentale della questione. Indubbiamente tra l'ebraismo della diaspora e la sinistra c’è stata una grande crisi durata molti anni e venuta a galla in modo virulento con la guerra col Libano, ma poi si è aperta una fase di riflessione che portato (Oslo ecc.) alla riapertura del dialogo. Oggi mi pare che si sia aperta un’altra fase regressiva e che la frattura che sembrava si stesse ricomponendo invece si stia ricreando sia dall’una che dall’altra parte. Una certa sinistra che nasconde e dall’altra parte la percezione di un irrigidimento anche qui della diaspora che va verso destra ed è meno disponibile al dialogo. Tutti i gruppi religiosi dopo il 2001 vivono in una situazione di arroccamento, ora è tutto più difficile anche se già difficile lo era prima.
Quali secondo lei sono le maggiori contraddizioni della sinistra israeliana e che cosa può fare la sinistra internazionale per aiutare a risolverle?.
I laburisti israeliani più che deboli sono disintegrati, al pari di una serie di certezze. Il centro sinistra israeliano paga anni di grandi ambiguità. Israele non ha mai curato molto la sua immagine. E’ un paese in cui le apparenze e la forma hanno sempre avuto poca importanza e in alcuni casi queste scelte si pagano anche un po’, per cui il rischio è che alcuni casi di sincerità vengano assimilati agli altri di arroganza. La situazione è disastrosa e credo che la sinistra internazionale non possa fare moltissimo, se non stare vicina alle parti che sono in gioco. Seguire perciò cosa fa la sinistra in Israele e cosa fa la sinistra in Palestina, insomma un intervento per forza globale. Janiki Cingoli, direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente parla di “atteggiamento di equivicinanza”- ben diverso perciò dall’equidistanza è un termine che mi piace molto e che afferma che non si possono più avere attori che vanno ciascuno per conto proprio.
Possiamo dire che la società israeliana prevede le pari opportunità tra uomini e donne? Da che parte stanno le donne in Israele?
Io percepisco lo Stato di Israele come uno Stato in cui dalla nascita c'è stata una certa parità tra donne e uomini. Fino all’affermazione di movimenti religiosi è stata una società molto libera che ha favorito anche la partecipazione delle donne alle più alte sfere dell’Amministrazione e del Governo del Paese. Penso all'ex Ministro Shulamith Aloni, ma anche alla stessa Golda Meyr. Si tratta di figure molto forti, di personaggi non di secondo piano, non solo assegnatarie di mandato per rispetto di eventuali quote rosa. Da che parte stanno? Amo pensare alle famose 4 madri che hanno richiesto il ritiro dal Libano. Conosco una di loro personalmente è una persona di rara intelligenza e rara umanità: Manuela Dviri Norsa una delle promotrici di questo piccolo movimento che mobilitando centinaia,migliaia di donne ha portato al ritiro dal Libano. Poi l’estate scorsa tutto è andato a catafascio
Marina giornalista e scrittrice. Quali sono i suoi rapporti con le sue omologhe d’Israele? Perché in Italia stentiamo a conoscerle? Forse perché loro si cimentano in generi meno "commercialmente produttivi”?
I miei rapporti con le mie omologhe d’Israele sono di grande ammirazione e non oso certo paragonarmi a loro. Per fortuna in Italia vengono pubblicate da case editrici attente come e/0. Anche se quasi sempre esprimono idee tormentate, non posso dire che si cimentino con generi commercialmente non produttivi. Sto pensando alla bravissima Savyon Liebrecht, che certo tratta di argomenti universali. “Prova d’amore” è un romanzo d’amore bellissimo. O penso a Zeruya Shalev, che analizza i rapporti di dipendenza, a volte patologici, tra uomini e donne,
per esempio. Di recente ho letto un libro uscito da poco “Ogni casa ha bisogno di un balcone” di Rina Frank, una storia molto mediterranea, piena di ironia e di vita. Queste scrittrici hanno tutte alle spalle vissuti familiari molto drammatici, la vita o l’arrivo in Israele, hanno caratteri epici insomma. Hanno storie familiari da raccontare e questo giova alla letteratura (il che ovviamente non vale solo per le israeliane, ma in questo caso il beneficio è molto evidente).
Che ruolo gioca la cultura di genere in Israele a sostegno della pace?
Le donne sono sempre più interessate alla pace e anche se in Israele le donne fanno il soldato la guerra è sempre un gioco di maschi.
Marina e Sofonisba… per caso Sofonisba rappresenta anche tanti suoi sogni? E tra questo anche un grande sogno di pace?
Sofonisba non ha un carattere molto pacifista, è amante delle maniere forti, però agisce a fin di bene. Se ogni bambino avesse una Sofonisba custode le guerre non ci sarebbero perché le Sofonisbe si eliminerebbero a vicenda. Quindi alla fine il risultato sarebbe quello di una pace.
E come madre ha mai regalato ai figli un’arma?
Ammetto di avere regalato a mio figlio una pistola ad acqua… ma la ha usata per innaffiare i fiori…
(2 febbraio 2007)
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