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Verso Calcutta

Verso Calcutta

Diario dall’India / quinta tappa - "Il viaggio da Bubaneswara a Puri con il bus locale, scassatissimo, è di poche ore. Sui sedili stiamo strettissimi..."

Katia Graziosi Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2008

Il viaggio da Bubaneswara a Puri con il bus locale, scassatissimo, è di poche ore. Sui sedili stiamo strettissimi. Vi è gente sul predellino e sulla capotta del bus: ma qui è normale, milioni di persone si spostano ogni giorno con tutti i mezzi disponibili. La strada è bella, fiancheggiata da palme di cocco, risaie e minuscoli agglomerati di case tutte modestissime con il tetto di paglia. Mi aspettavo una zona più sviluppata, stiamo dirigendoci verso il mare a Puri, sotto il golfo del Bengala. La vita di campagna anche in questo Stato, l’Orissa, è povera, si incontrano i mercatini, non si notano scuole. Bambini si avvicinano al bus nei momenti di sosta per chiedere elemosina. Anziani seduti davanti alla porta di casa. Nelle risaie prevalentemente donne al lavoro. Si arriva a Puri che è già mezzogiorno e fa caldo. Il bus ferma nell’arteria principale, ove vacche ingombrano la strada standosene tranquillamente accovacciate sull’asfalto. Scendiamo e siamo circondati da guidatori di ciclo-risciò che qui sono tantissimi. Ecco il mare. Non ci sono attrezzature per bagnanti, solo barche di pescatori e reti distese al sole. Ci dicono che questo è un luogo affollato quando Calcutta è invivibile per il grande caldo. Troviamo alloggio in un albergo di epoca coloniale in fase di ampliamento, carino, economico e frequentato solo da chi viaggia in libertà come noi, soprattutto giovani donne australiane, americane e inglesi. Un lato del giardino è adibito a cantiere edile. Due ragazze sono chinate e stanno impastando sabbia e cemento. Sono le manovali. Non vedo il montacarichi, in effetti qui non serve, sono loro stesse che lo sostituiscono: riempiono le ceste di cemento, le caricano sul capo, salgono i tre piani dell’immobile in costruzione e le consegnano al muratore. Poi fanno altri giri con le pietre sul capo e così per tutto il giorno, cemento e pietre. Cerco di comunicare con le due donne. Non parlano l’inglese, ma riusciamo ugualmente a comprenderci con la mediazione del giardiniere. Sono giovani, noto che le loro sari sono miracolosamente pulite. Pratibha è la moglie del muratore e lavora con la sorella in questo cantiere, da sei mesi. Provengono da un villaggio dell’entroterra e alloggiano in una casupola nascosta dalla vegetazione del giardino. Azzardo qualche domanda e così vengo a sapere che non hanno figli e provengono da una famiglia numerosa. Chiedo cosa guadagnano al giorno per questo lavoro pesante, mi dicono 30 rupie. Mentre faccio mentalmente il rapporto con l’euro, mi sorridono e riprendono il loro lavoro intonando una canzoncina. Manovale e montacarico per 50 centesimi di euro al giorno !! Incredula ripeto il conto, è esatto. Il sole sta tramontando e scompare improvvisamente dietro allo splendido tempio di Jagannath Mandir. Ancora non sappiamo che la serata e la cena saranno particolari a seguito dell’incontro con Jaggu. Stamattina, durante la nostra passeggiata abbiamo conosciuto un giovanotto di nome Jaggu, che riparava le reti da pesca. Giovanni gli ha fatto delle domande sul pescato e lui sorridendo ci ha spiegato che sua moglie è molto brava a cucinare il pesce e, se vogliamo, possiamo andare a casa sua a mangiarlo, in tal modo può guadagnare qualcosa. Abbiamo appuntamento alla spiaggia, prima del tramonto poiché la corrente elettrica è quasi inesistente al villaggio dei pescatori. Jaggu ci fa strada in quella specie di labirinto che sono le strette vie del villaggio fra le baracche, poiché di questo si tratta: edifici bassi in pietra e paglia, con tetti di paglia e pavimento in terra battuta; animali liberi nei minuscoli cortili e tanti bambini. Tutti ci osservano seguire il nostro ospite. Ci togliamo le scarpe ed entriamo in una casina grande appena 5-6 metri quadrati, è molto pulita, vi è un angolino che serve da cucina, una stanzina con un letto da una piazza che funge anche da seduta ed una sedia; su alcune mensole le cose di casa (vettovaglie e due scatoloni forse porta biancheria). Una finestrina fa entrare una leggera brezza, insieme a profumo di cibo proveniente dalle baracche vicine. Arriva Jaja la moglie di Jaggu insieme al figlioletto Arun di tredici mesi. Subito il papà lo prende amorevolmente fra le sue braccia e Jaja inizia a preparare il pesce. Arun è un bel bambino, si stringe al suo ‘papi’, timoroso di noi. Non vi è nulla in questo piccolo locale che fa pensare alla presenza di un bambino, se si esclude un’amaca che funge da culla; poi vedo in un angolo una automobilina, è l’unico giocattolo che Arun possiede. Jaggu ci chiede del nostro Paese, della nostra famiglia e poi ci racconta come vivono. Lavora con i pescatori e per arrotondare fa il venditore di perline sulla spiaggia. Ha 24 anni e la moglie solo 18, sono una bella coppia, sposati da pochi mesi, prima è nato Arun. Ci spiega che la loro unione è stata contrastata da entrambe le loro famiglie: lui è cristiano e lei hindu, poi è nato Arun e c’è stato il matrimonio, ma la disapprovazione e l’isolamento sono rimasti. Il loro è decisamente un percorso fuori dalla tradizione familiare indiana. L’organizzazione sociale in caste, i matrimoni combinati, la dote, sono ancora il perno di come si costituisce la famiglia. I matrimoni d’amore non rientrano nella tradizione anche se timidi cambiamenti iniziano nelle giovani generazioni. Le ragazze - in particolare quelle più scolarizzate della classe media - non accettano più a scatola chiusa il marito imposto. Penso ai contrasti che questi giovani hanno dovuto affrontare. Si intuisce dai loro sguardi che sono molto innamorati: Jaja rimane silenziosa, parla solo hindi, mentre Jaggu riesce a spiegarsi in inglese. Le loro difficoltà sorgono quando il bambino si ammala e occorre acquistare le medicine che costano care o quando nella stagione dei monsoni e delle calamità naturali, che in India sono frequenti, non si lavora e allora bisogna vendersi le cose di casa poiché le loro famiglie non li aiutano. E’ un ragazzo intraprendente, lui e la moglie vogliono che il piccolo Arun vada a scuola, capiscono che l’istruzione è fondamentale per un futuro diverso. Arriva il pesce, servito con riso e sugo di fagioli, è gustoso. Io mangio con l’unica posata di casa – un cucchiaino – e Giovanni con la mano destra come fanno tutti gli indiani. Promettiamo di aiutarli e per poter scrivere i loro dati personali chiamano un giovane amico. Comprendiamo in quel momento che sono entrambi analfabeti. Ci accomiatiamo e Jaggu ci accompagna nell’oscurità fuori dal villaggio. Dalle porte aperte delle baracche si intravedono lumicini di candele e qualche lampadina che illumina donne, uomini e bambini seduti a terra. Raggiungiamo la strada principale e Jaggu abbraccia me e Giovanni. Mentre commentiamo la serata e pensiamo come aiutarli, ci incamminiamo verso il nostro albergo. Nella hall troviamo una graziosa scimmietta seduta su un divano. Arriva qualcuno del personale per scacciarla e lei salta sul banco della reception scompigliando carte e penne. Tutti ridiamo. L’India è sempre imprevedibile.


(21 maggio 2008)

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