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Veronesi, la lezione di un medico umanista

Veronesi, la lezione di un medico umanista

Parliamo di bioetica - Le donne sono le migliori alleate dei medici, il crocevia da cui passa la salute di tutta la famiglia, bambini, mariti, parenti, anziani

Battaglia Luisella Lunedi, 11/01/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2010

Il 23 novembre 2009 è stata conferita dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova la laurea honoris causa in Scienze pedagogiche a Umberto Veronesi. Luisella Battaglia, professore ordinario di Bioetica nell’Ateneo genovese, ha pronunciato la laudatio, di cui si riporta uno stralcio.

“Sono stato spesso citato come uomo di successo perché il mio curriculum è ricco di numeri: 800 pubblicazioni scientifiche, 11 lauree honoris causa, 10 trattati di medicina. Invece nel mio profondo io mi ritengo l’opposto, cioè un uomo che ha avuto molte soddisfazioni dai suoi studi ma anche tanta sofferenza per le frustrazioni vissute, sia nella cura ai pazienti sia nelle ricerche”. Una confessione umanissima, quella di Umberto Veronesi, nel suo ultimo libro autobiografico, L’uomo con il camice bianco e tanto più significativa per chi è stato ed è protagonista di una lunga lotta contro il male fisico per antonomasia, il cancro, e ha il merito di aver introdotto una nuova cultura della malattia. La consapevolezza e la partecipazione hanno sostituito la negazione e la rimozione, innescando un meccanismo virtuoso nelle terapie e incoraggiandole a varcare nuove frontiere. Per i tumori al seno, ad esempio, si sono trovate tecniche conservative - come la quadrectomia - che evitassero, ove possibile, la mutilazione. È ancora Veronesi a dichiarare che mai avrebbe potuto pensare di osare l’abbandono della rimozione totale del seno malato se non gliel’avessero chiesto donne con tumori molto piccoli, in nome della loro vita e della loro bellezza.

L’attenzione al mondo femminile lo ha condotto sia a concepire una medicina “su misura” per le donne, sia a valorizzare il loro ruolo in un progetto di società che assegni un ruolo centrale alla prevenzione: le donne - ha scritto Veronesi, in significativa consonanza con la prospettiva del premio Nobel Amartya Sen - sono le migliori alleate dei medici, il crocevia da cui passa la salute di tutta la famiglia, bambini, mariti, parenti, anziani. Altrettanto importante è il loro ruolo nella ricerca, contrastato purtroppo dalla presenza di un perdurante “maschilismo scientifico” che mantiene ancora forte il livello di discriminazione e fa sì che il divario tra i sessi divenga sempre più ampio, man mano che si sale nella scala gerarchica. Come utilizzare per il bene di tutto il paese - si è chiesto - uno straordinario patrimonio di menti femminili? L’associazione italiana ricerca sul cancro (AIRC), ad esempio, ha inserito nei bandi di concorso una particolare policy che giustifica assenze dovute a cure parentali prolungate e, nel giudicare i progetti da finanziare, tiene conto anche degli anni dedicati dalle ricercatrici alla maternità e alla cura dei figli, permettendo così alle mamme-scienziate di mantenersi al passo con gli uomini. Come si vede, siamo in presenza di iniziative assai concrete che testimoniano la dichiarata volontà di superare atavici pregiudizi che consentano, secondo l’auspicio di Veronesi, di aprire “l’era della donna”.

Una conquista altrettanto importante è la lotta contro il dolore che, per antichi retaggi culturali, era ritenuto quasi una necessità insita nella malattia e che ora è combattuto grazie alle terapie da lui introdotte come ministro della Sanità. Un impegno civile all’insegna dei diritti fondamentali e della tutela della salute sostenuto dalla Fondazione Veronesi su temi cruciali, quali la fecondazione assistita, il consenso informato, il testamento biologico. Se la bioetica ha introdotto in medicina la “rivoluzione liberale”, che vede al centro la persona protagonista del percorso di cura, il grande oncologo ha certamente contribuito a diffondere nel nostro paese una cultura capace di garantire il rispetto del principio di autodeterminazione, passando da un modello fortemente paternalistico - che ammette “l’inganno caritatevole” del paziente - a un modello basato sulla partecipazione responsabile alle scelte terapeutiche: un patto di fiducia fondato sul reciproco rispetto e sulla parità dei diritti e doveri. “Pochi spiegano ai futuri dottori - ha scritto Veronesi ne La parola al paziente - che il loro compito primario sarà occuparsi dell’uomo, che non si potranno concentrare solo sulle malattie ma dovranno ragionare su come creare e mantenere un rapporto col paziente”. Da qui l’attenzione prestata agli aspetti formativi ed educativi della professione medica: basti ricordare la creazione della Scuola Europea di Oncologia e la decisione di istituire, come ministro della Sanità, la Formazione Medica continua obbligatoria. Occorre certo “aver cura” dei pazienti, eseguendo tutte le operazioni che li riguardano con la necessaria competenza clinica, ma insieme “prendersi cura” di loro manifestando un interesse personale, anche affettivo, per il loro benessere. Quello che Veronesi chiama il “modello condiviso” significa, infatti, non solo scegliere insieme terapie, ma anche condividere le gioie e le sofferenze che fanno parte del percorso della malattia. Da questa convinzione è nato “Sportello Cancro” un servizio d’orientamento per i malati e le loro famiglie, che assolve a una precisa funzione educativa, abituando medici e operatori sanitari a confrontarsi con i bisogni effettivi dei pazienti e la loro realtà. Se informare è il primo atto della cura, occorre passare dall’informazione a un’educazione terapeutica che renda i malati partner competenti e collaboratori consapevoli. Una chimera, un modello seducente ma irraggiungibile? Veronesi ha testimoniato con la sua opera e la sua stessa vita che è possibile coniugare l’eccellenza scientifica e l’abilità clinica con capacità comunicative e virtù umanistiche. Certo l’appello alla umanizzazione della medicina rischia di apparire retorico, ma esso indica, non dimentichiamolo, l’emergere di un forte bisogno di “humanitas” all’interno della sanità: questo bisogno è urgente e assoluto e, se si nutre di fatti e non di parole, se si traduce in opere e iniziative concrete, è l’impegno serio a cui tutti - medici, operatori sanitari e cittadini - sono chiamati.



*Luisella Battaglia

Istituto Italiano di Bioetica

www.istitutobioetica.org

 

(4 gennaio 2010)

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