Cinema - Molte le opere in concorso dedicate a temi di genere. E Elena Cotta vince la Coppa Volpi
Colla Elisabetta Domenica, 27/10/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2013
Pur essendo ormai un’anziana signora, la Settantesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (uno dei più antichi Festival di Cinema del mondo) porta splendidamente i suoi anni e, proprio nell’edizione 2013, ha dimostrato tutta la sua vitalità. Nel corso del 70° anniversario, infatti, hanno trovato spazio e riconoscimento numerose pellicole dedicate al tema delle donne e della violenza, e ad altre storie ‘forti’ di emancipazione e determinazione/caparbietà femminile. Primo fra tutti va citato il film Miss Violence, vincitore del Leone d’Argento al concorso, diretto dal regista greco Alexandros Avranas, che inizia con il suicidio di una bambina nel giorno del suo decimo compleanno, in una famiglia apparentemente normale, e neppure le ricerche dei Servizi sociali approderanno alla spaventosa scoperta di un nucleo familiare profondamente malato, dove figlie e nipoti vengono fatte prostituire ed abusate dall’età di 10 anni, da un nonno-padrone che mantiene così l’intera famiglia e, in un’atmosfera claustrofobica e quasi asettica di falsa normalità, controlla ogni loro mossa con la silente connivenza della nonna. Altra storia durissima e senza apparente via di scampo, quella raccontata nel lunghissimo film La moglie del poliziotto (175’ divisi in 59 brevi capitoli), del regista tedesco Philip Groning, che dipinge letteralmente (molte scene sono come quadri) la ‘banalità del male’, nella tragica catabasi di Uwe, un agente di polizia (David Zimmerschied), dell’adorata moglie Christine (Alexandra Finder), e della loro bambina di tre anni. Dalla felicità dei pic-nic sull’erba si passa ai lividi ed alle percosse (la cinepresa indugia a lungo sul corpo di lei coperto di ematomi), alle spinte, alle aggressioni immotivate, ‘per troppo amore’, si giustifica lui, e lei lo asseconda, non le toglie il suo, fino a perdere ogni rispetto di sé stessa. Altra forma di violenza, più sottile ma non per questo meno devastante, quella evidenziata nel film turco Koksuz-Nobody’s Home, della giovane regista Deniz Akçay, presentato alle Giornate degli Autori, ovvero i Venice Days, una delle sezioni parallele del Festival di Venezia 2013 dove è possibile trovare piccoli gioielli indipendenti fra cui questo film, che racconta di come una famiglia di Izmir (città natale della regista), dopo la morte del padre/marito, divenga disfunzionale, non riuscendo a ricostruire la propria identità né a mantenersi unita: la madre, Nurcan, non esce più di casa, passa le sue giornate davanti alla TV, pulendo ossessivamente la casa, urlando contro i figli e chiedendo loro di risolvere ogni tipo di situazione di emergenza, in un misto di depressione e gigantesco egoismo. Il figlio sedicenne, lker, sfoga la sua rabbia con atti di bullismo, sesso e spinelli, la preadolescente Özge, cerca invano di attirare l’attenzione della madre; ma è su Feride, la figlia più grande, impiegata e con un salario, che la madre fa ricadere pesantemente ogni peso familiare, impedendole in modo calcolato di avere una vita propria finché, per sfuggire alla rete vischiosa che la imprigiona e la soffoca, si darà in matrimonio ad un uomo che non ama, consapevole fuga (bollata di tradimento dalla madre) verso altre forme di prigionia. “Köksüz è un film sul senso di appartenenza - afferma la regista - e sulle conseguenze estreme che la mancanza di esso può avere sulle persone. È la storia straziante di una famiglia che ha subito una perdita improvvisa e non sa come affrontare le situazioni che ne derivano, le inadeguatezze, le fughe, l'incomunicabilità, il senso di colpa, la rabbia e la depressione”. Ma per fortuna arriva la speranza: due film potenti sulla caparbietà femminile presentati in concorso, infatti, sono stati forse i più applauditi ed amati da pubblico e critica. Il primo, Philomena, ultimo film dell’inglese Stephen Frears - sceneggiatura e regie ‘perfette’ nel bilanciare serietà e leggerezza - interpretato da una sempre strepitosa Judie Dench, racconta la vera storia di Philomena Lee, una ragazza irlandese costretta dalle suore, giovanissima, a dare in adozione il figlio di un casuale ‘peccato’ a facoltosi americani senza figli, e segue le tracce dell’ormai anziana signora decisa a partire per gli States alla ricerca del figlio Anthony, per conoscerne l’identità, la vita, la storia di bambino adottato. Aiutata nell’indagine da un ex-politico ed ex-giornalista della BBC, Philomena scoprirà l’oltraggiosa ingiustizia subita da lei e dal figlio ad opera di suore prive di cuore e di scrupoli e sarà lei a compiere un gesto di superiorità morale, fede autentica e nobiltà d’animo. Altro scenario quello del secondo film sulla determinazione femminile, Tracks,del regista John Curran, americano naturalizzato in Australia, che racconta l’incredibile impresa compiuta dall’australiana Robyn Davidson (oggi 63enne), che nel 1977 percorse a piedi 2700 km nel deserto del west Australia con 4 cammelli ed un cane fino a raggiungere l’Oceano Indiano: il film, interpretato con grande coinvolgimento da Mia Wasikowska - attrice apparentemente troppo giovane e delicata per uno sforzo così arduo ma anche la protagonista reale lo sembrava - inizia quando la Davidson sbarca ad Alice Springs e comincia il suo apprendistato come domatrice di cammelli. Infine - last but not least - è doveroso ricordare due film italiani, che hanno dato numerose soddisfazioni al Lido, a cominciare da Via Castellana Bandiera, debutto nella direzione cinematografica di Emma Dante, stimata attrice e regista teatrale siciliana, storia parossistica di due donne, Rosa e Samira, che s’incontrano in una viuzza stretta dove è impossibile per due macchine passare contemporaneamente e che, per l’intera durata del film (una giornata), restano ostinatamente in attesa che l’altra ceda il passo. Nel ruolo di Samira, ieraticamente folle, la notevole Elena Cotta (classe 1931), vincitrice per questo ruolo della Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile. Anche Alba Rohrwacher recita nel film della Dante, nei panni di una “punkabbestia”, in realtà un’anima gentile che traduce ciò che vede intorno a sé in bellissimi disegni a carboncino. L’attrice, due volte presente a Venezia, è infatti anche protagonista della pellicola Con il fiato sospeso - presentata fuori concorso - e diretta da Costanza Quatriglio, documentarista e regista di grande talento (vincitricedel Nastro d’Argento per il miglior documentario 2013 con Terramatta): un’opera breve (35’) ed intensa, basata su un fatto di cronaca vera (su cui sono in corso indagini), cioè la chiusura per insalubrità di alcuni laboratori della Facoltà di Farmacia dell’Università di Catania, e le storie delle tante persone coinvolte, intossicate e disilluse.
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