Venerdi, 27/08/2021 - Stella lucente,
se fossi forte come te...
(Bright Star, 'incipit', by J. Keats)
Jane Campion, regista e sceneggiatrice neozelandese, classe 1954, tra le più note a livello internazionale, torna a Venezia, dopo parecchi anni di assenza.
Non è mai stata troppo feconda nelle sue produzioni, Jane, ma ha lasciato sempre il segno, fin dall’inizio della sua comparsa sulla scena artistica e cinematografica.
Figlia d’arte, la Campion lavora dalla fine degli anni Ottanta, più o meno e chi scrive, se mi si passa il ‘personalismo’, la segue e ‘ne’ scrive.
Quando uscì “Sweetie”, nel 1989, il suo primo lungometraggio molte furon le donne che si interessarono a lei, alla sua tematica certo non usuale, certo ‘non comoda’, come fu fatto notare, ‘picciola cosa’, anche su di un giornale di donne con cui collaboravo che usciva allora nella piccola provinciale città, Ferrara, in cui vivo.
Ma importante fu lo scalpore coi successivi, diffuso, in tutto il mondo che risvegliò tutto un suo circolo di ‘fans’ che poi più l’ha abbandonata.
E pur diversificati, i soggetti, le sceneggiature, le interpretazioni, nel tempo, non finiscono ancor oggi, anche a distanza di anni, ad esser vere, particolari, ad attirare insomma ed a concentrare su di lei un’attenzione planetaria.
Si posson ancora rivedere i suoi film ‘vecchi’ ed ancora risuonano di una inquietante attualità.
Magnifico (e riconosciuto tale) “Un angelo alla mia tavola - An Angel at My Table”, l’anno dopo, il 1990 il cui soggetto è tratto dall'omonima autobiografia della scrittrice neozelandese Janet Frame, scomparsa nel 2004, più volte candidata al premio Nobel per la letteratura.
Ebbe grandi consensi alla 47ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia dove ricevette il Leone d'argento anche se, secondo gran parte della critica, sarebbe stato il Leone d'oro ‘in pectore’.
L'opera rivela ancora una volta tutto il talento della Campion che arriverà all’Oscar con il successivo “The Piano”, poi tradotto in “Lezioni di piano”, del 1993, il suo film più celebre col quale vinse la Palma d'oro al Festival di Cannes, prima e per quasi trent'anni unica donna nella storia, e l'Oscar alla migliore sceneggiatura originale.
Per esso, per la critica, per la produzione, la Campion dovette cambiare il finale – come a suo tempo aveva dovuto fare Hitchcock per “The suspicion – Il sospetto”, per non ‘rovinare la reputazione performativa consueta’ di un grande attore come Cary Grant – in cui la protagonista, la splendida Holly Hunt avrebbe dovuto morire e ‘sparire’ nel silenzio eterno delle acque dell’oceano come il suo ‘alter-ego’- il suo pianoforte, ma non fu così. Troppo triste, troppo disperante, troppo ‘eros-thanatos’, il pubblico non l’avrebbe accettato.
Ma se si riguardano ( e si ascolta la ‘voce –off’) con attenzione gli ultimi fotogrammi del film, prima dei titoli di coda, la ‘coerenza’ di quanto detto sarà evidente.
Anche la colonna sonora dei suoi testi cinematografici è sempre stata di grande impatto e non solo emotivo: per “The Piano”, aveva voluto l’armonia struggente del pianoforte solista ed orchestrale di Michael Nyman, il musicista di Peter Greenaway, che contribuì non poco al successo del film.
Tre anni dopo, ancora a Venezia per “The Portrait of a Lady – Ritratto di Signora”, tratto dall'omonimo romanzo di Henry James.
Poi la visceralità di “ Holy Smoke - Fuoco sacro”, del 1999 e del molto discusso “In the Cut”, non tradotto, del 2003.
Così, tempo dopo, la Campion torna ora a Venezia, in concorso, con “The Power of the Dog - Il potere del cane” da lei scritto e diretto. Nasce da un adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 1967 di Thomas Savage ed è interpretato da Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons e Kodi Smit-McPhee.
Le riprese del film si sono svolte interamente in Nuova Zelanda, cominciando nel gennaio 2020 a Maniototo, nella regione di Otago, e spostandosi poi a Dunedin. La lavorazione è stata interrotta a causa dello scoppio della pandemia di COVID-19 in Nuova Zelanda e gli interpreti han dovuto rimanere nel paese per tutta la durata del ‘lockdown’, riprendendo poi a girare a giugno.
Vale la pena riportare le asserzioni della Campion su questa sua ultima scelta da cineasta:
“Rimanere affascinata dallo straordinario romanzo di Thomas Savage è stata pura gioia, ma non avevo mai pensato di farne un film, visti i tanti personaggi maschili ed i temi profondamente maschili. Mi sono invece chiesta quale regista l’autore, con la sua mascolinità ambigua, avrebbe voluto, e a poco a poco ho avuto la sensazione che lui mi appoggiasse un braccio sulla spalla, dicendomi:
“Una pazza che è arrivata ad amare questa storia? Sì, è perfetta”.
Ho messo tutta me stessa nel grandioso racconto di Savage, ne sono stata conquistata. In Phil ho sentito l’amante, e la sua tremenda solitudine. Ho percepito l’importanza e la forza di ogni singolo protagonista, e il modo in cui ciascuno si rivela alla fine. Sono onorata di condividere questo film con veri spettatori, in un cinema reale”.
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