Mostra a Cuneo - Mistero, seduzione, misticismo, sensualità, potere, religione. Il velo è stato ed è ancora tante cose, da strumento di esaltazione della bellezza femminile a negazione della sua stessa esistenza
Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2008
Porzione di tessuto finissimo e trasparente che esalta la bellezza femminile, drappo opaco e pesante che ripara o nasconde, ma anche cortina che impedisce la vera conoscenza di una realtà, il velo lascia trapelare la sua lunga storia, le sue funzioni e le percezione suscitate in mondi diversi in una bella mostra intitolata a suo nome, curata da Andrea Busto e allestita nell’antico e luminoso Filatoio di Caraglio (Cuneo). Attraverso opere provenienti da musei e collezioni europee e americane - dipinti, sculture, disegni, stampe installazioni, video, fotografie e una raccolta di manufatti - si snoda un racconto d’arte e di antropologia culturale intorno ai significati, i simboli, le ambiguità, le contraddizioni che si sono sprigionati da questo oggetto di uso quotidiano che è apparso per migliaia di anni nella nostra e in altre culture. Mistero, fascino, seduzione, misticismo, sensualità, potere, religione: questo e altro ancora si cela nelle pieghe morbide del velo. Nella mostra in questione, un percorso in sette tappe dipana l’intreccio aggrovigliato di tutte queste suggestioni. Eloquenti e accattivanti gli spunti individuati: Velature, Memoria e traccia, Purezza e candore, Soglie, Eros e Thanatos, Orientalismi/ Occidentalismi, Il velo globale. Con i loro titoli poetici illustrano questo pezzo di stoffa, passaggio di confine fra la realtà e l’altrove, che ha attraversato i tempi e le culture, e nella sua lieve evanescenza nasconde e custodisce le tracce seducenti e inquietanti del mistero.
L’ampia, fantastica visione raccoglie epoche, costumi, culture e mezzi espressivi diversi. Fra le innumerevoli opere esposte - molte assai famose e firmate da grandi artisti - si scorgono il “Cristo morto” di Andrea Mantenga (solo documentato perché intrasportabile), il ritratto di Papa Innocenzo X di Velasquez, sfigurato dietro una tenda nella delirante interpretazione di Francis Bacon; il ritratto di Tiziano del Cardinale Archinto, per metà dissimulato dietro una cortina leggera. Vividissimi i ritratti di due donne: una con mantiglia, di Goya, e un’altra con un copricapo drappeggiato del XIV, di Robert Campin). Si ammira la delicatezza di busti velati e di sculture femminili avvolte da lievi drappeggi. Si passa dalle incisioni di Dürer alle tele di Ingrès, fino agli esotismi fittizi dei quadri di ispirazione orientale di fine Ottocento dove i veli ondeggianti si sprecano. Molti gli artisti contemporanei che interpretano il passato. Figurano le Veroniche, i teli che rivela il volto di Gesù: fra queste la bella “Sindone partenopea” di Raffaella Cordione Sandoval. Vanessa Beecroft porta una Madonna d’Africa incinta coperta da un candido manto; Brigitte Niedermair propone inquietanti figure avvolte in drappi neri e Luisa Valentini è presente con un burka indurito di lattice su un manichino di metallo. E ancora: Christo e Jeanne-Claude impacchettano un catino, mentre la grande fotografa iraniana Shirin Neshat provoca con l’immagine di una donna nascosta dal velo integrale con un bimbo nudo e tatuato per mano. Foulards, scialli, splendidi veli ricamati, copricapo, sari e burka semplici o di gran lusso rendono ancor più vivido il racconto di un indumento spesso legato alla soggezione della donna al soggetto maschile, come esplicita Shadi Gadirian in una serie di fotografie intitolata “Vita domestica”, in cui al posto della grata del burqa figurano gli eterni oggetti da cucina.
Oltre a quelli della prigione domestica, si scorgono i veli della malattia e della morte, della virginale esaltazione, mentre il velo lungo e pendente dietro del cappello a cono delle dame, delle fate e delle streghe diventa simbolo di idealizzazione e demonizzazione della donna, seno della doppiezza femminile, di purezza e di attrazione fallace.
Percepito e concepito diversamente a seconda dei luoghi, dei tempi e delle persone, oggi il velo è diventato molto attuale e molto contrastato. Scrive Marina Terragni sul prezioso catalogo, che alle immagini unisce saggi di autori di formazioni e conoscenze diverse (SilvanaEditoriale): “Strappatele quel maledetto straccio blu di dosso, fatela respirare, lì sotto si soffoca, la bocca e le narici che si incollano al rayon. Detto per esperienza: io il burqa – una sola, memorabile volta l’ho provato. Classicamente blu, comprato in un mercatino afgano per una decina di dollari . Volevo capire da dentro cos’era. Mi sono sentita subito trasformata in un corpo morto, tallonata dal non-essere.”
Ma lei, sotto il burqa, non ha forse intravisto secoli di abitudini e quel bisogno di identità che fa sì che quella prigione mobile sia di nuovo imposta. Quel pezzetto di stoffa che concentra tanti significati – desiderio, suggerimento erotico, leggerezza, finezza – sarà anche un espediente maschile per nascondere le donne, condizionarle, tenerle sotto nascondiglio, annullarle. Ma oggi, che ha assunto i connotati religiosi e politici e che le donne occidentali lo considerano un obbligo oscurantista, non si deve escludere che il velo rappresenti un segno di sicurezza e di orgoglio, di fedeltà ad un mondo a cui molte donne si sentono ancora legate. E se staccarglielo di dosso in un paese straniero fosse un’imposizione supplementare? È bello pensare che un giorno non lontano, quando si saranno consapevolmente adeguate ad un mondo che non tutte hanno ancora condiviso, il velo di tante donne islamiche scivolerà e con il pieno consenso maschile sarà riposto in un cassetto come un affettuoso ricordo delle mamme e delle nonne che non se ne sarebbero mai separate.
*Shirin Neshat, Women of Allah, 1996
Fotografia con interventi a mano dell'artista
Santa Margherita Ligure, Fondazione Pierluigi e Natalina Remotti
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