Egitto. Cairo. Sta scatenando un dibattito mediatico la proposta del giornalista egiziano Cherif Choubachy di organizzare una manifestazione contro l’Hijab questo mese nella capitale egiziana. L’idea, ancora non confermata, è stata lanciata attraverso il profilo Facebook del giornalista ed in poco tempo ha accolto l’approvazione di una parte della società, mentre si sono dette contrarie le sfere religiose sunnite, e anche le stesse donne egiziane.
Tra queste, c’è anche Nervana Mahmoud, trentenne e giornalista anglo-egiziana che nei giorni scorsi racconta della sua personale esperienza di donna non velata sulle pagine del quotidiano Al-Ahram e di come questa “nuova caccia alle streghe” rappresenta l’ennesima occasione per distogliere lo sguardo sui reali problemi: “In un Paese nel quale i problemi sono molti, accendere un altro focolaio che possa creare instabilità sociale, come la manifestazione contro il velo non mi sembra utile alla società” - osserva Nervana, che continua - “Il velo ha fatto sempre parte della mia vita fin dall’infanzia. Cresci circondata da donne che indossano il velo. Amici di famiglia, vicini di casa e sconosciuti ti ripetono che il velo è obbligatorio. Nulla è cambiato quando sono cresciuta. All'università ho avuto molti problemi perché non indossavo il velo. Io e le mie amiche vestivamo normalmente, nessun abito succinto, ma solo un trucco leggero. E nonostante un look normale, ho continuato a subire critiche e molestie verbali perché avevo i capelli scoperti”.
Ma le pressioni esterne non hanno spaventato Nervana che ha continuato a decidere di non indossare il velo, convinta che un codice di abbigliamento imposto non sarebbe stato il modo migliore per essere quella che è, una donna credente e rispettosa della sua religione.
In Egitto, l’hijab ha riscoperto una nuova età dorata negli anni Settanta in concomitanza con la diffusione dei movimenti islamisti, considerati illegali durante Nasser. “In quel periodo è stato imposto un rigido codice di abbigliamento. All’improvviso la maggior parte delle donne ha iniziato a coprirsi con il velo. Le stesse celebrità, dichiarandosi pentite per non essersi velate precedentemente, hanno iniziato a indossarlo. All’epoca i colori che dominavano erano per lo più quelli scuri. È stato così fino agli anni Novanta, quando si è assistito ad un’inversione di tendenza e alla diffusione di stoffe colorate”.
Per Nervana il velo non indica se si è più o meno fedeli. Bisogna invece capire che tutte le donne, musulmane e cristiane dell’Egitto, hanno iniziato di nuovo a combattere le une accanto alle altre per chiedere parità e diritti, passati in secondo piano negli anni scorsi. “Durante e dopo la Rivoluzione del 2011, tra i manifestanti di piazza Tahrir si potevano vedere donne velate e donne non velate, tutte insieme per manifestare contro il regime di Mubarak. La stessa cosa è avvenuta con le manifestazioni pro e contro Morsi nel giugno 2013”.
Il periodo post rivoluzionario ha riacceso i riflettori su una questione molto delicata: in che modo religione e politica sono interconnesse in Egitto? Non è facile demarcare questi due ambiti e per questa ragione “in questo periodo storico non è necessario che le istituzioni religiose e la società si preoccupino del modo in cui una donna si veste, come se questo fosse il fulcro della fede per ogni donna e uomo musulmano. Penso invece che la diversità e la tolleranza sono i due ingredienti essenziali per una società sana. E’ giunto il momento di rispettare il diritto fondamentale della donna di scegliere. E’ giunto il momento che tutte le donne con o senza velo siano accettate e rispettate in Egitto”. E su questo non si discute, e tantomeno devono essere gli uomini a farlo.
Lascia un Commento