OCCHIO ALLE (DE)GENERAZIONI /1 - A Sarzana sullo stesso piano generazioni e generi superando la lettura negativa della crisi, che non è una malattia. Tante riflessioni per cogliere le opportunità che non vediamo
Camilla Ghedini Lunedi, 22/09/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2014
Finalmente una tre giorni dedicati alla creatività, a un confronto generazionale senza anatemi e allarmismi. Senza nostalgie per il ‘rassicurante’ passato e senza paure per l’incerto futuro. All’ordine del giorno, la ‘realtà’. È successo al Sarzana, dove dal 29 al 31 agosto si è tenuta l’undicesima edizione del Festival della Mente. Una full immersion di dibattiti promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia e dal Comune di Sarzana, con la direzione scientifica dello psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet. Grandissimo spazio è stato dato all’adolescenza, con esperti di fama internazionale che hanno sedotto e nella maggior parte dei casi convinto un pubblico eclettico proveniente da ogni parte dello Stivale. Non solo addetti ai lavori, quindi docenti di tutti i livelli e psicologi e psicoterapeuti; non solo genitori; non solo giornalisti; non solo gente del posto. NOIDONNE c’era. E non poteva essere diversamente in una manifestazione che ha messo sullo stesso piano generazioni e generi. Ma il cui merito più significativo, abbiamo detto, è stato chiudere in un baule, con tanto di naftalina, il disfattismo. Partendo dalla riappropriazione del significato vero di quella maledetta parola, ‘crisi’, che condiziona la nostra vita di adulti e compromette quella dei ragazzi. Che non sono dei ‘poverini’ che non si realizzeranno mai, che non si compreranno mai una casa e non avranno mai un lavoro. Ma dei nativi digitali che conoscono le lingue e che hanno a portata di mano mille strumenti per individuare la propria strada. Che non sarà fatta di contratti a tempo indeterminato, indennità e rimborsi, ma di sana competizione, merito e raggiungimento di traguardi.
Si è interrogato lo psicoanalista Luigi Zoja (Crisi generazionale, crisi maschile, crisi italiana), sull’opportunità di continuare a parlare di ‘crisi’. Perché, ha chiarito, “giusto sarebbe intenderla nel suo significato etimologico, di difficoltà. Ma noi la trattiamo al pari di una patologia”. I giovani di oggi non hanno prerogative in meno, anzi. Certo, ha riconosciuto Zoja, “la prossimità nelle relazioni è stata sostituita dai contatti virtuali, è stata deprivata”. Si respira un forte isolamento, prodotto e consolidato dall’uso dei social network, “che regalano l’inganno della vicinanza”. E sicuramente l’assenza di una socializzazione concreta produce ‘mali’, anche fisici, “che possono indebolire il sistema immunitario, che ci espongono di più”. Ma non è tutto da buttare. Perché questo è lo stesso mondo in cui gli uomini fanno i padri per bisogno di felicità, non in risposta a modelli patriarcali. Che consigliano i figli non perché ‘ti ho detto che devi fare così’, ma ‘ti ho detto di fare così perché è meglio per te’. Dove i mariti aiutano le mogli. Anche se forse, il risvolto della medaglia, è che da un lato c’è una tendenza a stereotipare il ruolo femminile, dall’altro i maschi sono un po’ disorientati e hanno perso di autorevolezza. Ma di errato, in assoluto, non c’è nulla. E poiché la vita media si è allungata, e di un bel po’, tanto vale cercare di inserirsi e di viverlo, questo mondo. Senza cercare di cambiare ciò che non capiamo. Quel che si è respirato a Sarzana si è stato un invito alla ‘normalità’. A non crescere i nostri ragazzi facendoli sentire invincibili e unici, senza prepararli alle inevitabili delusioni della vita, o esimendoli da quella parte di arbitrarietà che spetta a ciascun individuo. No. Si è ricordato loro che per essere al passo coi tempi non basta essere ‘digitali’, ma bisogna leggere, tanto e sempre, perché la cultura crea coscienza e aiuta a capire chi e cosa ci circonda. Perché quando leggiamo ampliamo il nostro incontro con l’esistenza, che è troppo breve. Perché quando leggiamo mettiamo in luce le nostre possibilità, diventiamo grandi e migliori. (David McCullough Jr, insegnante, in Ragazzi, non siete speciali).
Si sono ammoniti i genitori a vigilare sui pre adolescenti, ricordando loro - passaggio spesso trascurato - che la precocità fisica non corrisponde a quella mentale, che aspetto adulto e comportamento bambino convivono. Che non bisogna confondere la loro capacità tecnologica con la capacità di gestire, emotivamente, i contenuti del web e dei social, la cui crudeltà - per quanto riguarda, ad esempio, i commenti - rischia di compromettere la loro auto stima, la loro sicurezza, gettandoli nello sconforto. Su questo fronte deve esserci la massima attenzione, il massimo monitoraggio, la voglia di cercare di essere all’altezza dei figli, di comprendere gli strumenti attraverso cui loro comunicano fin dalla culla. I genitori devono tornare ad essere presenti, senza lasciare i ragazzi soli, anche quando sembra che ci rifiutino. “Perché dietro a uno sfrontato disinteresse per tutto, hanno bisogno di essere accuditi e accompagnati. È necessario attrezzarsi e rinvigorire la disponibilità all’ascolto”. (Sofia Bignamini, psicoterapeuta, in L’esplosione dei mutanti). E in epoca di grande violenza e di efferati delitti, bisogna uscire dal luogo comune che il benessere sia la serenità. Che un bravo bambino è un bambino che non urla, che non chiede, che non si arrabbia, che è sempre educato con mamma e papà e coetanei. No. I bambini devono litigare perché così, dovendo poi fare pace per continuare a giocare, sperimentano la relazione, i propri limiti, la rinuncia, la resistenza, l’amicizia. “Non confondete un ragazzino litigioso con un bullo. Non impartite sempre punizioni, perché il conflitto non è violenza, anzi. La violenza è spesso racchiusa nell’incapacità di gestirlo, il conflitto. Semmai, diffidate di chi è troppo tranquillo, di chi vi promette una vita senza scossoni, la contrarietà è una cosa normale”. (Daniele Novara, pedagogista, in Litigare fa bene). Allo stesso modo, se i diciottenni se ne stanno solo ‘stravaccati’ sul divano - come esemplifica Michele Serra ne Gli sdraiati e ha ribadito in Tutte le famiglie infelici si assomigliano - preoccupatevi, ma non troppo. “Non sta scritto da nessuna parte che il nostro mondo è migliore del loro. Sono cambiati i paradigmi, ma chi stabilisce quali sono quelli giusti? Ci sono regole vecchie e regole nuove, la difficoltà sta nella trasmissione”. A NOIDONNE questa impostazione, senza condanne e scusanti per vecchie e nuove generazioni, ha soddisfatto. Perché alla fine si è tradotta in un invito alla responsabilità, di tutti. Perche solo così si può cominciare a ragionare sul futuro.
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