Illegalità e italianità - Menzogne politiche, predisposizione al servilismo, arte della furbizia come costume sociale, forza reazionaria e ipocrisia della Chiesa…
Stefania Friggeri Lunedi, 31/08/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2009
Nonostante il tentativo di banalizzare le vicende boccaccesche di Berlusconi riducendole a “vita privata”, sui giornali stranieri, ma anche su alcuni italiani, abbiamo ascoltato le voci, stupite indignate, spaventate, di chi si chiede che popolo siamo noi italiani, quale genetica deformazione, quale patologia ereditaria ci induce ad acclamare, oggi come nel ’22, un “ piccolo Cesare”. Un uomo inaffidabile sul piano politico perché, in primo luogo, inaffidabile sul piano morale. Eppure Gioberti nel 1843 si dichiarava sostenitore de “ Il primato morale e civile degli italiani”, primato raggiunto grazie alla fortunata circostanza di ospitare nella penisola il papato, per cui “più vicini, più pronti, più immediati, più continui sono gli influssi della sua parola”. E oggi - la storia si ripete? - Benedetto XVI , preoccupato da un lato dalla secolarizzazione e dall’altro dall’attivismo dell’Islam, affida all’Italia, culla del cristianesimo, il compito di nazione guida per salvare le radici cristiane d’Europa. E tuttavia sorge il dubbio che l’immagine dell’Italia berlusconiana non goda di un prestigio sufficiente a conquistare un ruolo di primo piano nel continente. Forse in Vaticano devono farsi alcune domande per capire se possa definirsi cattolico un popolo il cui stile di vita denuncia un tessuto etico slabbrato e lacerato, dove trovano largo consenso proposte politiche che rispondono all’avidità e a sentimenti xenofobi. Se Ratzinger fosse sceso nella pancia del paese avrebbe visto come la fibra morale degli italiani veniva corrotta non dal relativismo ma dalla passione consumistica di chi trova un senso al suo esistere nell’ “avere”; che vuol dire, a livello politico, corruzione e clientelismo (già ampiamente diffuso nella Democrazia cosiddetta Cristiana) per garantire al familiare/protetto posizioni di potere e prebende, infischiandosene dell’interesse pubblico. È l’arte della furbizia che, nella generale indifferenza delle regole, ha creato il clima giusto perché l’illegalità venga infine accettata come costume sociale (evasione fiscale, legami fra malavita e politica, ecc…) e per il capo le leggi “ad personam” perché nella nostra democrazia, corrosa dall’infantile fiducia nell’uomo forte, la massa “crede a tutto ciò che le si dice. Purché glielo si dica con insistenza, purché si lusinghino le sue passioni, i suoi odi, le sue parole. È dunque inutile cercare di restare al di qua dei limiti del verosimile; al contrario, più si mente grossolanamente, massicciamente e crudamente, meglio si sarà creduti e seguiti. Egualmente inutile è cercare di evitare la contraddizione: la massa non la noterà nemmeno”. (A. Koyre’, “ Riflessioni sulla menzogna politica”). E Berlusconi, trasformando la politica in “un sottoprodotto della società dello spettacolo… ha risposto ad un desiderio di essere ingannati, ad una cupidigia di servilismo che viene dalla storia profonda del nostro paese” (F. Tonello). Se è vero, questo aspetto antropologico può aiutarci a comprendere le ragioni del precario radicamento nel nostro paese della democrazia. La quale in primo luogo esige trasparenza perché non sopravvive se i cittadini non sono informati della realtà dei fatti, anzi si può affermare che la menzogna costituisce il “vulnus” (ferita) più grave che può colpire la democrazia (riflettiamo sui casi di Nixon e Clinton negli USA). Ma la Roma papale ancora ieri si mostrava indifferente verso personaggi che mentivano platealmente e calpestavano nei fatti i valori professati in pubblico, in un clima di sfacciata ipocrisia e di perbenismo cialtrone su cui anche il mondo ecclesiastico ha sempre lasciato correre, come fosse un peccato veniale. L’incapacità del nostro paese di raggiungere un livello civile idoneo a costruire un solido sistema democratico ha cause complesse, diverse ed intrecciate, ma non vi è dubbio che la Chiesa Cattolica ne condivide la responsabilità. Sul nostro ritardo culturale hanno pesato da un lato le parole del clero che, diffuso capillarmente sul territorio, era stato educato a vedere come nemici di Cristo le dottrine e i movimenti (illuminismo, liberalismo, socialismo...) che aprivano al rinnovamento sociale, alla democrazia e ai diritti; dall’altro la pompa abituale e la pretesa di infallibilità della chiesa regnante, risoluta ed attiva nel procurarsi influenza e potere (il Vaticano è “la più grande forza reazionaria esistente in Italia, forza tanto più temibile in quanto insidiosa e inafferrabile”, Gramsci). Concludendo: poiché oggi il cattolicesimo italiano conosce una stagione di grave oscurantismo (non l’adesione al messaggio evangelico approfondito ed interiorizzato ma il conformismo della tradizione, dei riti ripetitivi e tranquillizzanti), è improbabile che l’Italia “culla del cattolicesimo” trovi ascolto nelle società aperte d’Europa. La società italiana infatti può apparire una società cattolica, ma è piuttosto una società clericale: il Concilio Vaticano II aveva tentato il rinnovamento attraverso la lettura insieme, chierici e laici, del Vangelo, ma oggi l’alto magistero ha rinunciato alla via più lunga e faticosa della formazione delle coscienze, adottando quella dei divieti per legge (no al testamento biologico, no alla modifica della legge 40 e così via). È quella strategia che fece dire a Machiavelli: “Abbiamo adunque con la Chiesa e con i preti noi italiani questo primo obbligo di essere diventati senza religione e cattivi.”
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