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Valori, visioni e competenze per progettare cultura

Valori, visioni e competenze per progettare cultura

Classi dirigenti / 3 - Abbiamo una classe dirigente pubblica incapace in un momento di massima accelerazione dell’innovazione e del cambiamento. La rivoluzione necessaria secondo Federica Olivares

Marina Caleffi Mercoledi, 31/07/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2013

Gruppi dirigenti e classi dirigenti in una democrazia moderna hanno specifiche responsabilità. Ne parliamo con Federica Olivares - editrice, docente universitaria, manager di progettazione di eventi culturali - donna che ha potuto esprimere le sue competenze anche come Consigliere di Amministrazione RAI fra il 1996 e il 1998, nel primo governo dell’Ulivo, quando il mandato fu davvero di rilanciare le competenze dell’azienda in Italia e nel mondo. Più che un CdA, un vero e proprio matriarcato, perché su cinque consiglieri ben tre erano donne, cosa mai più accaduta! E che donne! Una regista come Liliana Cavani, un editore come Fiorenza Mursia e un altro editore come la nostra interlocutrice. Tre caratteri, ma soprattutto tre forti competenze che diedero alla RAI molti progetti innovativi come la creazione di RAI Fiction e di RAI Teche, oltre alla possibilità di sviluppo di canali tematici satellitari con RAI Sat.



Le competenze dei gruppi dirigenti non generano poteri insindacabili o immodificabili, quindi e le alternanze dovrebbero caratterizzare la democrazia. Quale il test di realtà di chi, come Lei, guarda il Paese in una prospettiva socio culturale di ampio respiro?

Cominciamo proprio parlando di competenza, perché come tengo ad insegnare ai miei studenti in Università, è proprio la competenza che rende liberi in una società e in un’economia contemporanea, a condizione che si viva in una società che abbia tra i propri fondamenti il merito!

Ma il problema è proprio qui, che viviamo in un Paese che ha fatto dell’appartenenza (politica, partitica, ideologica, di clan e di caste burocratiche) il ciclo vizioso della propria mancanza di crescita e allora la competenza può diventare anche la “valigia” con cui trasferire il proprio progetto professionale e di vita all’estero, in Paesi dove il ciclo virtuoso della competenza permetta di crescere e far crescere le proprie idee. Oggi vedo scarsissima competenza nei gruppi dirigenti italiani, perché non hanno saputo confrontarsi con il resto del mondo e si sono trincerati in un’ansa del fiume della storia, costringendo il nostro Paese a segnare il passo rispetto alla velocità di trasformazione che ha investito altri Paesi e altri Continenti.



Le donne hanno sempre più visibilità e ricoprono ruoli di responsabilità nella sfera sociale, del lavoro e delle professioni anche se in Italia, ma non solo, si deve ricorrere a sistemi di quote per affermare il riconoscimento e le competenze delle donne nei luoghi dirigenziali…

A proposito di sistemi di quote, in un assetto veramente di Pari Opportunità le quote hanno senso se sono di accesso. Viceversa le quote nei Consigli di Amministrazione si rivelano essere un’altra modalità per creare una casta di “mandarine”, privilegi riservati a donne che comunque hanno già raggiunto posizioni di vertice. Le quote, ripeto, hanno senso solo se temporanee e di accesso, non di arrivo!



Quanto è difficile esprimere la propria weltanschauung? Quali i moloch da scardinare?

“È il difficile che ci è stato consegnato” scriveva un grande poeta tedesco, ed è proprio lo sviluppo di capacità e di solidità di carattere quello che ci costringe a diventare dei veri adulti nella palestra delle “difficoltà”. Quindi ben venga il difficile!

I moloch sono altri. Anzitutto, non mi stancherò mai di ripeterlo, il tirannico sistema di appartenenza contro competenza che si è instaurato in Italia negli ultimi 40 anni e impedisce sia la crescita di capacità, sia l’affermarsi di un sistema di ricompense sociali, basate appunto sul merito e sulla competenza che fanno crescere individui e Paesi e che permettono di far circolare l’aria della democrazia!



Quali difficoltà ha incontrato e continua ad incontrare?

“Lavorare stanca” diceva Cesare Pavese, e lo ripeto spesso in classe in Università. Certo c’è la stanchezza buona e quella cattiva. Quella buona del misurarsi con se stessi e con la propria crescita e il proprio contributo alla società, e quella cattiva di non trovare il proprio merito riconosciuto. E allora occorre identificare una dimensione anche “politica” al proprio agire professionale. Vorrei aggiungere che, come per tutte le donne che raggiungono posizioni di responsabilità, questo coincide sempre con un impennarsi del “tempo per la cura” da riservare alle persone più anziane della propria famiglia e della propria comunità. Questa rimane una differenza di fondo fra il tempo degli uomini e il tempo delle donne, sia che si tratti di figli piccoli, sia che si tratti di genitori e parenti anziani. Spesso stare accanto in modo intelligente e affettivo a chi si trova a un passo dal “gran viaggio” coincide con incarichi di vertice e molti viaggi, e richiede tanta più energia perché rimane la vera priorità umana e non delegabile.



La sua esperienza decisamente articolata Le ha consentito di avere contezza dell'industria culturale del Paese in anni e Governi diversi e del contesto europeo. Cosa è cambiato?

Molto è cambiato nella politica e nella società italiana, in Rai sono moltiplicati i Consiglieri di Amministrazione ma è diminuita la loro professionalità, unica vera barriera contro il dilagare delle richieste politiche. I risultati si vedono!

Complessivamente le idee più innovative nel settore di “prodotti culturali” nel nostro Paese sono nate e stanno nascendo dall’innovazione tecnologica e da una capacità di pensare a prodotti che declinino insieme nuove forme di fruizione culturale e nuove tecnologie abilitanti soprattutto sui diversi schermi che ormai affollano la nostra vita. Molti giovani, fra questi molte donne, stanno creando nuove imprese immediatamente connesse con partnership europee e internazionali. Purtroppo esiste nel nostro Paese ancora una scarsa propensione all’auto imprenditorialità e la cultura è ancora vista solo come spesa pubblica e non come possibilità di creazione di nuovi progetti in grado di attrarre anche investimenti esteri. Ci sono però alcuni splendidi isolati esempi di Città e territori italiani che hanno saputo fare della cultura una leva di crescita e innovazione a partire da Torino fino a una Regione come il Trentino che ha visto in questi giorni, fra l’altro, l’inaugurazione di un Museo della Scienza così contemporaneo come il MUSE di Renzo Piano.



Secondo Lei esiste un modo diverso di gestire il potere culturale, fare strategie, avere visioni in tal senso, tra un uomo e una donna?

Distinguiamo fra gestione di potere culturale e capacità di creazione di imprese nel settore culturale. Come capirà, qui la vera differenza è fra interesse per il potere, una notte in cui tutte le vacche sono grigie - come diceva Hegel, quindi con poche distinzioni di sesso, oppure interesse a risultati economici e sociali concreti che implicano invece visione, capacità di gestione, orientamento al raggiungimento di obiettivi concreti. In questo secondo caso molta letteratura accademica internazionale parla di differenze soprattutto fra un management relazionale ed emotivo rispetto ad uno stile di management più direttivo e razionale, piuttosto che di differenza fra il maschile e il femminile. Tuttavia, comunque la si pensi, rimane vero che le donne (parlo di un individuo in pace con se stesso e con il mondo) tendono ad essere più attente agli impatti sociali del proprio agire sia nell’ambito dell’azienda che di quello della società.



Fuor di ideologismi, quanto è importante tener conto del fatto che le politiche sono legate ad un ordine sociale, di mercato e capitalistico… Un ordine che non consente molti spazi per cammini diversi?

Senta, non c’è niente di più incline alla diversità di quanto non sia il mercato! Perché è per sua stessa natura l’incontro fra domanda e offerta che ha una possibilità infinita di diversità. È la prevalenza dell’ideologia che porta con sé la riduzione delle opzioni fino al prevalere del pensiero unico. L’ho toccato con mano quando creai, subito dopo il 9 novembre 1989 e la caduta del Muro di Berlino, la Fondation Européenne de Femmes a cui diedi come Presidente onorario Mary Robinson già Presidente della Repubblica d’Irlanda e poi Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo: La Fondazione aveva l’obiettivo di dare alle donne degli ex Paesi dell’Est skills professionali e le capacità per diventare rappresentanti del proprio Paese ad ogni livello di responsabilità, cosa che non era stata loro garantita dai regimi precedenti.



Vale la pena fare tanta fatica, come movimenti femminili, per aumentare la presenza delle donne nei luoghi dei vari poteri: culturale, politico, economico della finanza o è fatica di Sisifo?

Vale la pena fare tutta la fatica possibile affinché le donne, ma anche gli uomini del nostro Paese, raggiungano una professionalità confrontabile con quella degli altri Paesi europei e globali, altrimenti non ce la faremo come Paese a competere e a dare lavoro ai nostri ragazzi!



Avere donne in Parlamento, o non averne, fa la differenza anche per ciò che attiene le strategie legate alla Cultura?

Su questo tema preferirei stendere un pietoso velo…



Non le sembra che viviamo una situazione in cui i gruppi dirigenti appaiono incapaci di individuare risposte adeguate alle problematiche del presente, o almeno di indicare delle possibili strade da percorrere…?

Se per classe dirigente si intende quella pubblica e politica, sono assolutamente d’accordo: una notte senza stelle.



Come si fanno scelte di qualità, efficaci ed efficienti, nei momenti di crisi, quando sembra che i ranghi debbano essere serrati e tutto debba essere dettato dalla logica della necessita per andare dritto all’esito? Quanto pesa la "regina pecunia”?

Guardi, dobbiamo renderci conto che dobbiamo recuperare quarant’anni, appunto, di blocco del ciclo virtuoso della competenza e della professionalità nel nostro Paese. Oggi abbiamo una classe dirigente pubblica inadeguata e incapace di misurarsi con un mondo aperto e tutto ciò avviene in uno dei momenti di massima accelerazione dell’innovazione e del cambiamento del mondo. Occorre una vera rivoluzione dei valori su cui il nostro Paese vuole decidere di fondarsi.



Lei conosce il mondo anglosassone. Vede differenza nella loro classe dirigente, culturale e non solo, rispetto alla nostra?

Abissale!!! In quei Paesi la selezione funziona ed è durissima in base alla competenza e gli errori si pagano, così come i meriti si prendono. Non solo si pagano gli errori ma si viene mandati via e non riallocati in altre posizioni come nel nostro Paese. E questo è profondamente immorale.



Editore, Consulente di progettazione culturale, da otto anni Docente alla Cattolica di Milano… Un percorso di efficacia ed efficienza, i Suo, che accoglie sempre nuove sfide. Progettare cultura è un atto politico?

Insegnare è onore e dovere, al tempo stesso, per “restituire” molte delle opportunità che la vita mi ha offerto e soprattutto per fare il lavoro politicamente più bello che si possa immaginare ossia contribuire a costruire una generazione con valori, visioni e competenze che permettano loro di stare nel mondo con la forza della loro competenza e l’energia che proviene da una generosità umana di fondo. La progettazione culturale mi permette di proiettare il mio Paese a livello internazionale e a fare per esso quel che non potrei fare a livello politico. Così è stato per il mio contributo all’ideazione dell’Anno della Cultura italiana negli Stati Uniti 2013 del Ministero degli Affari Esteri, che ha voluto proiettare negli USA l’immagine e la reputazione di un Paese fondata non solo sul suo passato ma anche sulla credibilità di quella parte di ricerca e innovazione che esso sa esprimere e che può attrarre importanti investimenti esteri. Così è oggi per il lavoro che sto conducendo con un team internazionale e un team locale per la Candidatura a Capitale della Cultura Europea 2019 di Bergamo, una delle nostre città più belle e innovative. Una vera “economia della cultura” è una delle importanti sfide che il nostro Paese dovrà riuscire a vincere e per vincere ci vuole una classe mista, di uomini e donne che sappiano rifondare con passione e competenza questo nostro, nonostante tutto, amato Paese.

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