Martedi, 29/10/2024 - Il femminile di giornata / trentuno. Con Kamala, fra speranza e timore
A una settimana dal fatidico 5 novembre 2024, data delle elezioni presidenziali americane, le informazioni che riguardano Kamala Harris e Donald Trump non sono rassicuranti, per chi ha scelto di sperare nell’elezione della prima donna alla Casa Bianca. Si susseguono notizie e aggiornamenti dei sondaggi, che sembrano confermare e ribadire due concetti per certi versi conflittuali. I due contendenti sarebbero più o meno allo stesso livello, ma si sottolinea che Trump sembrerebbe essere avanti negli Stati decisivi, prima di tutti la Pennsylvania.
A conferma di questa previvione arriva la rinuncia, inaspettata, di dare l’endorsement a Kamala da parte di due giornali importanti come “Washington Post” e ”Los Angeles Times“. Come commenta qualche nota giornalistica, tale repentina neutralità potrebbe nascere dalla “paura” di ritorsioni, qualora davvero Trump si assicurasse la vittoria.
La sfida è quindi divenuta feroce, ma vogliamo credere che i giorni residui possano essere ancora decisivi per sperare e lavorare alla vittoria di Kamala. Importante da sottolineare è che nei due candidati si identificano due facce diverse, e forse alternative, dell’America di domani. Non è forse un caso che la stessa Kamala, dopo aver condotto, sin dal dibattito con Trump, una campagna sui suoi punti programmatici legati alle donne, con particolare riferimento all’aborto e poi si sia dedicata a parlare del benessere della popolazione, del lavoro, della gestione dell’emigrazione, in sostanza di un progetto di crescita del paese invitando a guardare avanti, da alcuni giorni abbia cambiato strategia attaccando Trump in modo nuovo e senza remore. Una scelta non casuale: in un'intervista Kamala per la prima volta ha risposto ad una domanda di un giornalista confermando che Trump è un fascista e un pericolo per la democrazia. Parole pesantissime seguite dalla notazione di esponenti democratici, come Michelle Obama che, scesa in campo al suo fianco, ha definito Trump: bugiardo, incompetente e in preda ad un declino mentale.
Per non dimenticare che durante la grande Kermesse - che Trump ha voluto al Madison Square Garden di New York in compagnia di Elon Musk, suo decisivo sostenitore - è stato sottolineato come abbia evocato l’incontro degli americani per Hitler del 1939.
Incontro, quello del Madison, dove tra le nefandezze dello stile ”Apri bocca e gli dai fiato”; un comico sostenitore del Taycoon ha menzionato Portorico come 'un'isola di spazzatura che naviga per l’Oceano' provocando, ovviamente, l’indignazione dei tanti portoricani che vivono negli Stati Uniti e che, speriamo, in seguito a tale insulto possano scegliere di votare Kamala Harris.
La competizione tra Kamala e Trump, secondo molti e affidabili commentatori, rappresenta il conflitto inedito nella storia della democrazia americana, caratterizzata per decenni dall’arte della mediazione e del confronto politico. E’ proprio la democrazia che rischia di essere attaccata e tradita da una concezione “Trumpiana” del potere in termini di gestione personale e dittatoriale.
A parlarne, in modo convincente, sono ex collaboratori repubblicani di Trump durante il suo primo mandato presidenziale, come l’ex capo di gabinetto John Kelly che partendo dalla sua esperienza, schierandosi oggi con la Harris, teme per la tenuta democratica, in caso di vittoria di Trump. Preoccupazioni forti e legittime, comprensibili anche per molti di noi, se la mente va al 6 gennaio del 2021, quando abbiamo tutti potuto vedere in mondovisione l’attacco al Campidoglio, sede del Congresso degli USA, avvenuto con la copertura di Trump e portato avanti - con una brutalità e violenza inaudita - contestando la legittima elezion di Joe Biden come Presidente.
Un attacco che ovviamente coinvolgeva anche Kamala Harris, a sua volta divenuta la sua vice. La candidata dell’oggi a cui Trump grida insulti inauditi e le comunica che è già licenziata. La candidata che, invece, rappresenta la speranza che l'America riprenda le redini di un percorso democratico, in un paese che vive un'ondata violenta di malesseri come rancore e razzismo.
Un paese coinvolto in termini di armamenti e posizionamenti geopolitici nei conflitti di Ucraina ed Israele. Conflitti che avranno un peso significativo proprio rispetto al voto, considerando come l’America sia il paese di tante realtà umane ed etnie composite frutto dell’immigrazione protrattasi nel tempo, che mette insieme storie le più diverse sin dalla sua nascita, che ne ha creato il tessuto attuale. Questa la sfida che Kamala Harris ha di fronte, convinta che la battaglia è all’ultimo voto ed a questo lei deve dedicare tutte le sue energie fino al 5 novembre.
Ci piacerebbe poter immaginare che, fra tante differenze, difficoltà e conflittualità possa giovarsi, per vincere, di un decisivo e determinante sostegno femminile a cui si è rivolta sin dall’inizio con grande convinzione. E non solo rivendicando per le donne la libertà di decidere rispetto all’aborto, che è stato un punto decisivo della campagna su entrambi i fronti, ma più in generale richiamandone il ruolo, la funzione il protagonismo come decisivo nella vita democratica del paese. Un sentimento che per Kamala ha significato frequentemente il richiamo a sua madre, alla quale ritiene di dovere molto della forza, dignità e formazione che l’hanno portata ad un podio di responsabilità e orgoglio come può essere la candidatura per la Presidenza dell’America.
Kamala - non andrebbe mai essere sottovalutato dagli elettori - rappresenta la forza e il prestigio che gli emigrati, oggi considerati il più grande problema americano, hanno dato al paese nel tempo. Lei, figlia di una indiana e di un giamaicano che, nonostante fossero una scienziata ed un economista, conobbero le difficoltà dell’emigrazione e la fatica di ottenere rispetto e dignità.
E ora non ci rimane che seguire la corsa di Kamala sul filo di lana, aspettando di raccontare ciò che “rivelerà” il fatidico 5 novembre meglio noto come "the election day“, e sperando nel meglio.
Paola Ortensi
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