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URSULA HIRSCHMANN ISPIRATRICE DELLE POLITICHE PER LE DONNE IN EUROPA - di Daniela Colombo

URSULA HIRSCHMANN ISPIRATRICE DELLE POLITICHE PER LE DONNE IN EUROPA - di Daniela Colombo

Un saggio di Daniela Colombo che ha avuto "la fortuna di incontrare e frequentare Ursula Hirshmann nell’ultimo periodo della sua vita, dal 1974 all’8 gennaio del 1991"

Venerdi, 18/12/2020 - URSULA HIRSCHMANN ISPIRATRICE DELLE POLITICHE PER LE DONNE IN EUROPA
di Daniela Colombo - 2018

“Dietro ogni grande uomo c’è una grande donna”. Era questa una frase che sentivo spesso quando ero ragazza. Ora per fortuna anche questo sembra essere cambiato grazie al secondo femminismo e alle numerose storiche che hanno studiato e stanno studiando la vita e il pensiero delle grandi e sconosciute donne che hanno dato un contributo importante alla storia, alle scienze, alla letteratura, ai vari campi del sapere… Compito non facile data la difficoltà a reperire i documenti necessari, andati spesso distrutti, proprio perché il contributo delle donne fino a una quarantina di anni fa era considerato di poco valore.
Ursula Hirschmann è stata una di queste donne e, come ha scritto Silvana Boccanfuso* in un saggio pubblicato negli Atti delle Giornate di studio per Ursula Hirschmann “Donne per l’Europa” - a cura di Luisa Passerini e Federica Turco - “forse l’ultima dei pionieri dell’avventura federalista europea di cui si conosce ancora poco”. A questo saggio mi sono rifatta per la stesura di parte di questo mio articolo.
Non sono una storica. Mi ero laureata in Scienze Politiche con una tesi in Storia dei Trattati su “Il Parlamento inglese e la guerra di Abissinia”, relatore Ennio Di Nolfo. Ero stata per alcuni mesi assistente volontaria di Gabriele De Rosa, che aveva vinto la cattedra di storia contemporanea alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova, ma poi ho intrapreso una via diversa, legata allo sviluppo socio-economico dei paesi più poveri.
Ho avuto però la gioia e la fortuna di incontrare e frequentare Ursula Hirshmann nell’ultimo periodo della sua vita, dal 1974 all’8 gennaio del 1991. Nel 1974, Ursula viveva con il marito, Commissario Europeo, a Bruxelles, ma veniva spesso a Roma dove abitavano ancora due delle sue figlie. Aveva grande curiosità e interesse per il nuovo movimento femminista e chiese ad un amico comune, Gerardo Mombelli, capo di Gabinetto di Spinelli, di farci incontrare. In quel periodo ero molto attiva nel movimento femminista. Ero stata una delle fondatrici della Rivista femminista EFFE, l'unica che avevo lo scopo di dare voce all’insieme del grande movimento delle donne in Italia, in Europa e nel mondo e che veniva distribuita nelle edicole in tutta Italia. Nonostante la differenza di età diventammo molto amiche. Ursula aveva un anno più di mia madre, che peraltro aveva fatto parte anche lei del Partito d’ Azione, e alla quale ero molto legata. Quindi per un breve periodo ho avuto due madri-amiche…
In realtà Ursula è stata una femminista ante litteram, vissuta nel periodo di passaggio tra il primo e il secondo movimento femminista, una delle rare donne che fin dalla prima giovinezza si è occupata di politica ed economia (era stata iscritta alla Facoltà di economia a Berlino), cercando sempre di vivere una vita autonoma, indipendente, con una propria posizione, grande capacità di autoanalisi, anche sul proprio corpo e sessualità, conciliando il suo ruolo di moglie e di madre (ha avuto sei figlie) con quello di attivista per i diritti umani, da giovane contro il nazi-fascismo, poi per una Europa Federalista e nell’ultimo periodo della sua vita per i diritti delle donne.
Nel rileggere la sua auto-biografia “Noi senza patria”, dopo più di venti anni, ho ritrovato moltissimi sue annotazioni che dimostrano il suo essere profondamente femminista. Si tratta di un libro pubblicato da Il Mulino nel 1993, due anni dopo la sua morte, nel quale sono raccolti tre articoli autobiografici già pubblicati su Tempo Presente e alcuni inediti che Altiero Spinelli aveva raccolto. I vari capitoli, in ordine sparso, si riferiscono al periodo dell’infanzia e quindi della famiglia, della giovinezza militante, i primi amori e il rapporto con il suo primo marito, Eugenio Colorni. Tutti fatti antecedenti al confino di Ventotene.
Nell’introduzione della autobiografia, Ursula ha scritto:
Non sono italiana benché abbia figli italiani, non sono tedesca benché la Germania una volta fosse la mia patria. E non sono nemmeno ebrea, benché sia un puro caso se non sono stata arrestata e poi bruciata in uno dei forni di qualche campo di sterminio [...] Noi déracinés dell’Europa che abbiamo «cambiato più volte di frontiera che di scarpe» – come dice Brecht, questo re dei déracinés - anche noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene in un’Europa unita e perciò siamo federalisti” (U. Hirschmann, 1993).
Ursula Hirschmann aveva sviluppato sin da giovane una opposizione alla «agiata e spensierata vita» dell’ambiente borghese al quale apparteneva e che lei osservava con spirito critico, insieme al fratello Albert Otto, di due anni più giovane di lei, al quale è sempre stata legatissima.
La famiglia Hirschmann era ebrea, ma non praticante: i tre figli, infatti erano stati battezzati. Il padre Carl, originario della Prussia occidentale, era medico chirurgo; la madre Hedwig Marcuse proveniva da una famiglia benestante di banchieri e avvocati originari di Francoforte e ormai da due generazioni nella capitale tedesca. I coniugi Hirschmann votavano per il partito democratico “ma non c’era in questo «nessun vero impegno…. conducendo una vita molto libera, dedicata senza moralismo a tutti i divertimenti”. (U. Hirschmann, 1993)
Ma il mondo cambiava velocemente.
“Avevamo scoperto che questa città, di cui fino a poco tempo prima avevamo conosciuto un’isola sola tra le tante che la componevano, era scossa da contrasti gravi e crescenti. C’era in essa una miseria evidente e dilagante di fronte alla ricchezza che si presentava talvolta tradizionalmente contenuta, talvolta sfrontata. Di fronte ad una borghesia liberale, assai avanzata sul piano culturale ma rinunciataria sul piano politico, avanzava ogni giorno di più una massa di piccoli borghesi chiassosi ed avidi di maggior peso politico. La vita democratica diventava sempre più fiacca e naufragava progressivamente nella scesa in piazza, sempre più brutale, di gruppi militarizzati dei partiti estremisti che misuravano la loro forza in continui conflitti violenti” (U. Hirschmann, 1973).
Ursula si iscrisse all’Organizzazione giovanile del Partito Social Democratico, seguendo il fratello Albert Otto, (il quale si è poi laureato a Trieste e dopo una vita a dir poco avventurosa, approdato infine negli Stati Uniti è diventato un famoso economista, candidato al premio Nobel. Studiai a fondo i suoi lavori sullo sviluppo socio economico ed ebbi modo di frequentarlo, grazie a mio marito che per un periodo insegnò a Princeton).
“Una volta scelta la casa socialista nuovi problemi si posero: prima di tutto quello di trovare un linguaggio comune con i giovani operai ed artigiani di cui era prevalentemente composta la nostra sezione. Per lungo tempo io sono andata alle regolari riunioni serali senza aprir bocca [...] Mio fratello era più coraggioso e partecipò presto alle discussioni. Ma notavo in quel che diceva uno sforzo di semplificazione, non solo del linguaggio ma anche del pensiero [...] egli non voleva fare troppa mostra delle sue conoscenze per non apparire come un «intellettuale» davanti ai compagni” (U. Hirschmann, 1993).
“Andavamo regolarmente alle grandi manifestazioni del partito [...] in tutti i presenti si sentiva la stessa ansia di ricevere finalmente dai capi il segnale per agire contro l’onda crescente del fascismo. Era evidente che i nazional-socialisti diventavano sempre più insolenti perché non trovavano chi sbarrasse loro la strada” (U. Hirschmann, 1993).
“Nel partito social democratico si continuava a teorizzare che Hitler avrebbe fatto fallimento dopo pochi mesi e che perciò sarebbe stato sciocco sacrificare le organizzazioni sindacali e di partito in una lotta aperta che sarebbe stata micidiale dopo i divieti, gli scioglimenti e gli arresti seguiti all’incendio del Reichstag” (U. Hirschmann, 1993).
Nel Luglio 1933 Ursula si rese conto della necessità di allontanarsi “per qualche tempo” dalla Germania e raggiunse il fratello che era già partito per la Francia dopo la morte del padre. Ursula era accompagnata da un giovane compagno d’università, Ernst Jablonski, comunista, con il quale condivise i primi mesi del soggiorno parigino. Ad aiutarli a raggiungere Parigi fu Eugenio Colorni.
A Parigi Ursula aderì alla politica del fronte unico, all’unità delle sinistre nella lotta contro i fascismi, che era la linea strategica seguita dalla maggior parte del mondo antifascista parigino. Ma, ben presto la sua «fede nell’efficacia dell’azione comunista comincia a vacillare» (U. Hirschmann, 1993). Il suo allontanamento definitivo fu in gran parte dovuto, come lei stessa ha scritto, alle discussioni con Eugenio Colorni nell’ambiente degli antifascisti italiani, dove Colorni si recava quando gli era possibile. Colorni all’epoca abitava a Trieste dove insegnava lettere e filosofia al liceo Carducci.
Ursula infine lo raggiunse nella primavera del 1935, sposandolo poi nel dicembre 1935. “Eugenio fece subito un grosso attacco al mio modo marxista di vedere le cose. Le conversazioni con lui furono per me la liberazione da quel mondo culturale di mezza tacca che era il socialismo ‘di base’ e il materialismo dialettico, con il quale avevo fino ad allora riempito le mie esigenze di cultura e di azione politica”.
Ursula intraprese con il marito un impegno politico che nell’Italia fascista doveva seguire regole di clandestinità e riservatezza del tutto simili a quelle che da giovane universitaria aveva seguito in Germania. Quando Colorni venne arrestato nel 1938, per ricostituzione illegale del partito socialista, Ursula lo seguì nel confino di Ventotene con le due figlie, svolgendo un ruolo che all’inizio fu di moglie e di madre ma poi, quando si costituì il gruppo di elaborazione federalista organizzato da Colorni con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, diventò quello di co-protagonista nell’organizzazione del nascente Movimento Europeo. E’ certo – e molte sono le testimonianze – che Ursula partecipò alle discussioni che portarono alla nascita del Manifesto di Ventotene, ma non è ancora stato possibile determinare con precisione il suo apporto nella stesura (come del resto quello di altri partecipanti), mentre rimane certo il suo ruolo nel diffondere (insieme ad Ada Rossi e alle sorelle di Altiero Spinelli) il Manifesto di Ventotene non solo in Italia ma anche negli altri paesi europei.
Dopo il periodo di Ventotene, nonostante Ursula avesse seguito Colorni nel nuovo confino di Melfi, i rapporti tra i due si erano deteriorati. Ne parla nelle sue memorie in un capitolo intitolato “La mia vita con Eugenio”. In questo scritto dimostra tutto il suo spirito femminista e la sua profonda onestà intellettuale e morale. Riporto le sue parole: “Se medito oggi sul contenuto vero della mia angoscia di quegli anni, arrivo alla conclusione che mi sentivo presa, senza esserne cosciente, nel lento processo di fagocitamento in cui la nostra società – e nel caso mio - la società italiana di quegli anni – colloca la donna. Questa società che ai maschi pone una serie di sfide per mettere alla prova le loro capacità, alle donne pone una lunga serie di tentazioni per mettere fuori gioco le loro capacità. La tentazione estetica, per esempio, che si presenta con cento facce e di cui è difficile fare a meno una volta che se ne sia sentito lo charme. Bisogna, o sembra che bisogni, vestirsi bene, tenersi al corrente, scegliere tra infinite cose belle, perdere molto tempo dal parrucchiere, dalla sarta, negli infiniti negozi…Volevo conoscere e vivere la vita italiana e invece conoscevo e vivevo la vita della giovane signora borghese italiana, anche se la vita comune – quella tra Eugenio e me – conteneva alcuni impegni seri. Non mi rendevo affatto conto di questa situazione, ma penso oggi che la mia angoscia di quegli anni fosse causata dall’insofferenza per questo mio sviluppo che fu lento, incosciente, ma reale. Anche Eugenio non ne fu cosciente… egli mi avrebbe riso in faccia se gli avessi esternato un simile giudizio su me stessa. Perché, messa in confronto con le mogli dei suoi amici, evidentemente avevo un altro linguaggio e comportamento, altre esigenze e modi di fare. Ma ciò non era che la superficie. In realtà cedevo una ad una alle tentazioni femminili fondamentali…”. Rileggendole anni dopo, le sue parole mi sono sembrate una sintesi della “Mistica della Femminilità”, analisi della donna borghese americana, di Betty Friedan, uno dei testi fondanti del secondo femminismo.
In questo stesso capitolo delle sue memorie scrisse anche una parte su “I puritani dell’amore”: “La problematica dei nostri rapporti amorosi restò in un primo tempo sommersa dall’entusiasmo dell’accordo in tutti gli altri campi. Nell’amore Eugenio allora non aveva scoperto la stessa libertà che aveva nei suoi giudizi morali e politici. Gli era rimasto un fondo di puritanesimo tenace per cui l’unione fisica significava per lui una specie di sigillo al nostro patto di unione intellettuale e morale, ed era come tale importante, ma in se stessa insignificante o piuttosto non nominabile. Al posto dell’amore vi era invece, da parte sua, una grande tenerezza che doveva forse nell’inconscio riempire lo spazio, rimasto vuoto e muto, dell’amore vero e proprio”.
Amore che incontrò in Altiero Spinelli e che durò poi per tutta la vita. All’indomani dell’8 settembre Ursula, che era andata a vivere a Milano, raggiunse Altiero Spinelli in Svizzera con le tre figlie, stabilendosi a Bellinzona dove avevano amici. Nel frattempo Eugenio Colorni, dal quale si era separata, era fuggito dal confino di Melfi nella primavera del 1943, unendosi alla Resistenza a Roma, diventando membro del Comitato direttivo del PSI, organizzatore del Centro militare socialista e redattore capo dell'Avanti! clandestino. Il 28 maggio 1944 venne ferito a morte dai fascisti della banda Koch. Morì in ospedale il 30 maggio.
Nel 1945 Ursula e Altiero si sposarono. Ursula ebbe tre figlie anche da questo secondo matrimonio. Nonostante i complessi impegni familiari, non smise mai di essere una militante politica dando un importante contributo di pensiero e di azione organizzativa per la costruzione di una Europa Federale tramite il Movimento federalista europeo e per altre iniziative funzionali a questo grande progetto, come la fondazione dell’Istituto Affari Internazionali, collaborando sempre con Altiero Spinelli con il quale certamente era in grande sintonia, ma al tempo stesso cercando di mantenere posizioni autonome, come si evince da varie testimonianze.
Nel 1974 Ursula Hirschmann iniziò un percorso suo autonomo con la creazione del movimento Femmes pour l’Europe, nel quale portò – anche se purtroppo solo per un breve periodo – “la dedizione, l’entusiasmo e la decisione della giovane berlinese che – per usare le parole di Silvana Boccanfuso - nel luglio del 1933 aveva deciso che l’Europa era la sua casa e di Europa, da allora, si nutrì”.
Sul numero di giugno del 1975 della rivista EFFE venne pubblicato un suo articolo (http://efferivistafemminista.it/2015/01/leuropa-puo-cambiare/). E’ uno scritto di una attualità sconcertante che prende lo spunto dalla crisi europea esplosa nel 1974. “Da allora non si è parlato più di unità né di solidarietà. Guai a pronunciare queste parole utopiche e pericolose! La parola d’ordine del 1974 è stata il pragmatismo; e all’insegna del pragmatismo si è avuto il silenzio, la fuga, il compromesso, l’improvvisazione e, da ultimo, sogni di impossibili ritorni al nazionalismo.” L’articolo si concludeva con un appello alle donne ad impegnarsi per l’unificazione politica dell’Europa. “La battaglia per l’unificazione politica dell’Europa potrebbe essere un’occasione importante ed esemplare per le donne. Considerandone i ritardi e gli ostacoli si arriva in effetti a constatare che questa costruzione può essere veramente voluta e realizzata solamente da forze innovatrici. Inoltre la battaglia per una Europa politica è ancora aperta, duramente contestata dai detentori dei poteri nazionali. Si tratta di una battaglia in cui le posizioni non si sono ancora cristallizzate, i cui meccanismi non sono ancora ben definiti, elementi, questi, che possono tornare a svantaggio, ma anche a favore, delle forze politiche che vi si vogliono cimentare. Quale migliore occasione, per le donne, di impegnare le loro energie per una reale democratizzazione dell’Europa?”
Ursula lavorò senza sosta per questo progetto. A Bruxelles si incontrava con un gruppo di funzionarie ed amiche, tra le quali Fausta Deshormes e Jacqueline De Groote, e poi a Roma discutevamo insieme le varie idee e davamo ordine agli appunti che lei spesso scriveva in tedesco. Era determinata, tenace, con una grande onestà intellettuale. Poteva discutere per ore, senza mai perdere la pazienza. E con le femministe di pazienza ce ne voleva tanta…Sapeva ascoltare e accettò subito una delle regole del movimento: nessuna doveva avere la leadership... Ma lei aveva un’idea chiara: creare un’organizzazione europea per i diritti, la dignità e la libertà di scelta delle donne, affinché potessero dare il loro contributo alla formazione di una grande Europa Federalista.
Riuscimmo ad organizzare, anche grazie all’aiuto di Altiero Spinelli ma soprattutto alla tenacia di Fausta Deshormes, funzionaria addetta alla comunicazione, un “Seminario di donne per un’Europa diversa”, a Bruxelles, nell’edificio del Consiglio, il 7 e l'8 novembre 1975.
Al Seminario di Bruxelles parteciparono un centinaio di donne provenienti da vari paesi europei che cercarono di definire insieme l'Europa che desideravano, e il modo migliore per partecipare alla sua costruzione. L’idea portante del gruppo Femmes pour l’Europe era – come presentato da Ursula nell’apertura dei lavori - che “da circa vent’anni si sta costruendo l’Europa, ma la si fa a assai male, in balia dei vecchi riflessi nazionalisti, decisamente conservatori. Le sue istituzioni, appena create, hanno già il fiato corto e sono sclerotiche e burocratizzate, proprio in un momento in cui l’estrema gravità dei problemi politici ed economici richiederebbe reazioni e soluzioni dinamiche”.
Le donne erano state escluse dalle decisioni. “Nell’amministrazione della Comunità ritroviamo la ben nota piramide: numerose alla base, le donne diventano sempre più rare mano a mano che aumenta il grado”. Si discusse molto se ci si doveva battere all’interno o al di fuori delle strutture istituzionali. La conclusione fu che, “anche se a utile che molti gruppi restino al di fuori per denunciare più liberamente il cattivo funzionamento delle istituzioni, dall’altra parte è impossibile costruire nel vuoto”.
“Si possono criticare le strutture, si può cercare di cambiarle radicalmente, ma non le si può ignorare. E’ necessario dunque lavorare anche all’interno delle istituzioni, ma senza essere utili idiote, né prigioniere”. Era convinzione del gruppo, e di Ursula in particolare, che fosse di estrema importanza che le donne entrassero nelle istituzioni comunitarie, ma numerose, a tutti i livelli e con l’appoggio critico della base.
Al Seminario vennero presentati e discussi quattro rapporti: 1) Le donne e l’Europa: obiettivi a breve e lungo termine; 2) La situazione delle donne nella CEE: bilancio e prospettive; 3) Quale Europa vogliamo?; 4) I mezzi pratici per promuovere la partecipazione delle donne alla costruzione europea.
Si discusse a lungo sull’efficacia dell’imposizione di una quota di personale femminile. Tema ancora di grande attualità. “Quota che beninteso non deve essere interpretata in senso restrittivo: lo scopo è di garantire la presenza di un numero minimo di donne a tutti i livelli della gerarchia. E si può supporre che, una volta raggiunto questo numero, il problema si presenterà sotto un profilo diverso: le donne avranno avuto modo di farsi valere e potranno entrare in concorrenza con gli uomini sulla base delle loro competenze: per essere efficace, la quota proposta dovrebbe essere raggiunta entro un tempo determinato e contemporaneamente bisognerebbe applicare un controllo efficace sulle assunzioni”.
“I nostri progetti sono ambiziosi – dicevano le donne di “Femmes pour l’Europe” - perché vogliamo promuovere la partecipazione delle donne alla costruzione di una Europa nuova e veramente democratica e sappiamo che incontreremo molti ostacoli. Tanto all’interno della Comunità quanto nella nostra volontà di influenzare la politica europea, ci incontreremo con una resistenza più o meno aperta da parte maschile e con la nostra timidezza. Siamo ormai convinte che non dobbiamo aspettare la nostra liberazione dagli uomini. Le azioni femministe che si articolano nei vari paesi e a diverso livello, li costringono ormai a prestare sempre maggiore attenzione alle nostre rivendicazioni: ora sta a noi giocare”
Naturalmente i dubbi erano molti: in primo luogo quello di non essere sufficientemente preparate ad assumersi i compiti e le incombenze che le donne di Femmes pour l’Europe rivendicavano. Per questo il gruppo si proponeva tra l’altro di offrire alle sue aderenti occasioni per incontrarsi, informarsi, per scambiare esperienze e trovare alleanze, ma anche per formarsi.
“Abbiamo un certo ritardo da recuperare rispetto agli uomini che si occupano di Europa da ormai 25 anni, ma non dobbiamo cedere alla nostra timidezza. Riusciremo soltanto se avremo il coraggio di batterci su tutti i fronti contemporaneamente: non possiamo aspettare di “essere formate” per lanciarci nella politica, perché soltanto facendo politica ci si forma. Sarebbe utopia pensare che delle donne potrebbero formarsi in abstracto per delle funzioni che rimarrebbero loro precluse”.
Il Seminario di Bruxelles fu veramente un momento straordinario. Esiste al riguardo una pubblicazione a cura di Jacqueline De Groote dal titolo “Femmes pour l'Europe”.
Anche su questo Seminario esiste un articolo pubblicato sul numero di febbraio 1976 della Rivista EFFE, uno strano articolo che scrissi ma non firmai, forse perché nel dolore per la malattia di Ursula unii le parole del suo intervento introduttivo al Seminario alle mie. Alla fine dell’articolo c’era una nota che chi fosse stata interessata a proseguire la discussione su Femmes pour l’Europe poteva rivolgersi a me. (http://efferivistafemminista.it/2014/12/femmes-pour-leurope/). Ma il gruppo di femministe italiane militanti per l’Europa in Italia non si costituì mai.

Purtroppo, poco tempo dopo il Seminario ai primi di dicembre del 1975, Ursula fu colpita da emorragia cerebrale. Quel giorno avevo lasciato mia figlia a mia madre ed ero andata a Sabaudia, nella casa al mare della famiglia Spinelli, per lavorare con lei. Aveva un terribile mal di testa e non riuscimmo a fare nulla per farglielo passare. Per alcune ore non ci rendemmo conto della gravità. Poi fu portata in ospedale dove venne operata. In seguito andò a Bruxelles per la riabilitazione e regolarmente Altiero Spinelli scriveva lunghe lettere che venivano ciclostilate e inviate alle amiche e amici, in cui dava notizie di Ursula e dei progressi che faceva. E aspettavamo con ansia queste lettere. Ursula ricominciò a muoversi e nuovamente a parlare, con grande fatica. Le prime parole che disse, quando cercò di esprimersi, furono nella sua lingua madre: il tedesco. In seguito cominciò a utilizzare, mescolandole, le lingue che conosceva: tedesco, italiano, francese… qualche volta l’inglese. Bisognava prestare molta attenzione per capire quello che diceva.
Ritornò a Roma. Andavo a trovarla regolarmente nell’appartamento di Monteverde e in qualche modo riuscivamo a comunicare. Ha continuato ad interessarsi al femminismo e io le sono estremamente grata perché quando nel 1981 ebbi l’idea di creare l’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos), per riprendere la mia professione di economista dello sviluppo e lavorare con le donne del Sud del mondo al fine di migliorare la loro condizione, Ursula mi incoraggiò e divenne una delle prime socie sostenitrici. Questo dimostra come fosse rimasta lucida nonostante l’afasia e sento che è mio dovere ricordarlo, altrimenti si potrebbe credere che Ursula avesse concluso la sua battaglia nel momento della sua malattia. No, lei ha continuato a seguire quello che la interessava fino all’ultimo. Altiero Spinelli morì alcuni anni prima di lei, nel 1986. Poi anche Ursula se ne è andata nel sonno, con una lacrima di sangue.
Ho voluto ricordare tutto ciò per evidenziare come il lavoro di Ursula Hirschmann sia andato oltre il lavoro politico in Germania e in Francia, oltre il Manifesto di Ventotene, oltre i suoi rapporti con la Resistenza, oltre la creazione dell’Europa.
Le donne europee le devono moltissimo. Le sue amiche – Ursula non usava la parola compagna usata allora dal movimento femminista, ma di rievocazione comunista per lei - continuarono il suo lavoro. Jacqueline De Groote continuò a coordinare il gruppo di Bruxelles e con altre, ma soprattutto con il sostegno di Fausta Deshormes, nel 1990 diede vita alla “Lobby europea delle donne”, un’organizzazione di prestigio e rilievo politico, ben strutturata, attiva ancora oggi a Bruxelles e in vari paesi dell'Unione Europea. Fausta Deshormes, continuò a lavorare nel Dipartimento per la Comunicazione e fu instancabile e meravigliosa. Tra l’altro per moltissimi anni pubblicò la Rivista “ Femmes d’Europe”, ricca di notizie sul movimento delle donne in tutti i paesi europei, la cui corrispondente dall’Italia era Beatrice Rangoni Machiavelli, liberale, che in seguito per vari anni fu Presidente del Consiglio economico e sociale europeo.
Personalmente ho un debito di riconoscenza con Ursula Hirschmann. E’ grazie a lei e agli stimoli che mi ha dato, che all’inizio degli anni ’80, quando il movimento femminista iniziò a prendere una strada diversa, meno movimentista e più specialistica, non solo lavorai alla creazione di Aidos che ho diretto per 33 anni, ma decisi di collaborare con le istituzioni nei meccanismi per la parità sia al Ministero del Lavoro che alla Presidenza del Consiglio, e come esperta di donne e sviluppo per il Fondo Aiuti Italiano del Ministero degli Affari Esteri, per diverse Agenzie e Fondi delle Nazioni Unite, ma anche per la Commissione Europea dove, nel 1994 e 95, condussi il lavoro di ricerca che portò all’elaborazione della prima Risoluzione del Consiglio su Genere e Sviluppo.

*Silvana Boccanfuso, Ursula Hirschmann. Una donna per l'Europa,  Genova, Ed. Ultima Spiaggia, 2019.

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