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Urbanizzazioni selvagge

Urbanizzazioni selvagge

Città nemiche - Violenza di genere e urbana, tandem perfetto

Antonelli Barbara Sabato, 13/10/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2012

Quanto incide l’urbanizzazione sulla sicurezza delle donne? Nei paesi in via di sviluppo, moltissimo. Analisi e testimonianze

Più di metà della popolazione mondiale vive nelle città e stime globali indicano che nei prossimi venti anni, si arriverà a oltre il 60%. Nei paesi in via di sviluppo, l’urbanizzazione ha dato origine a una sempre crescente disparità tra donne e uomini. Le città offrono una via di fuga alla povertà attraverso una maggiore offerta d’impiego e alle donne anche opportunità per godere di più libertà, lontane dalle ristrettezze imposte da modelli patriarcali e tradizionali delle comunità rurali. Ma esiste il rovescio della medaglia. Le donne, infatti, migrano anche perché forzate a causa di conflitti interni, persecuzioni o come conseguenza di cambiamenti climatici. Arrivano in città impreparate ad accoglierle, senza piani urbani istituzionalizzati. Christy Abraham vive a Bangalore, in India. Coordina il lavoro sulla violenza contro le donne per l’organizzazione internazionale ActionAid. ‘noidonne’ l’ha incontrata al World Urban Forum, organizzato e promosso dalle Nazioni Unite a Napoli (settembre 2012). “Oltre all’assenza di piani urbani, le città dei paesi poveri presentano un’assenza/carenza di servizi e infrastrutture. In un paese come il Ghana, il 53% della popolazione vive in ambienti urbani. In India la percentuale è del 30%, una cifra altissima considerando la vastità del paese. Donne e uomini vivono la città in modo diverso e hanno una diversa percezione della sicurezza. Il rischio di violenza e maltrattamenti aumenta per le donne, in particolare lavoratrici non qualificate, senza un’adeguata istruzione, quindi più soggette a sfruttamento e con meno tutela dei diritti”, spiega Christy. L’analisi della dimensione di genere nei contesti urbani non è cosa nuova. Negli anni ’70 in diversi paesi furono organizzate marce di protesta contro la violenza sulle donne, creando un movimento che oggi è conosciuto come “take back the night”(riprendiamoci la notte); anche diverse organizzazioni internazionali hanno iniziato a condurre ricerche e studi sulla dimensione di genere della sicurezza urbana. A promuovere il diritto alla città, ad avere accesso a servizi, infrastrutture, mobilità. Nel 2010 l’agenzia ONU UNIFEM ha lanciato un programma globale su come rendere le città più sicure. Se, infatti, in molti paesi esistono almeno legislazioni che mirano a tutelare le donne dalla violenza domestica, così non è per la violenza negli spazi pubblici. Anzi spesso non è nemmeno riconosciuta dalle istituzioni e prevale una generale tendenza a minimizzare e normalizzare tale violenza. Dati preoccupanti legano il Nord al Sud del mondo. Uno studio del 2008 pubblicato dal Centro Egiziano per i diritti delle donne, fa notare che l’83% delle donne egiziane hanno subito molestie a sfondo sessuale per le strade delle città. A Nuova Delhi, l’82% delle donne pensa che siano i bus, i luoghi dove è più facile essere palpeggiate o molestate. Lo stesso vale per le organizzazioni di donne di Quito. A Lima, solo il 12% delle donne intervistate ha ammesso di “potersi muovere liberamente” senza paura di violenza. A Montreal la percentuale sale al 40% e a Tokyo il 64% delle giovani donne dichiara di essere stata palpeggiata sui trasporti pubblici. Il benessere (almeno quello materiale) non protegge le donne dei rischi della città. Rischi che aumentano però se si osservano le comunità marginalizzate o impoverite di alcuni paesi del Sud del mondo. Sono però sempre le donne ad auto organizzarsi e trovare delle soluzioni. Se al Cairo, alcune attiviste hanno realizzato all’Harrass-Map (la mappa delle molestie), una mappa virtuale dei luoghi da evitare, con un database e tecnologie open-source, dal 2011 ActionAid ha creato un progetto pilota in Brasile, Cambogia, Etiopia, Liberia e Nepal, per strategie volte a migliorare la sicurezza delle donne nei contesti urbani e a sensibilizzare l’opinione pubblica. “Le aree individuate dal progetto nelle diverse città - spiega Christy Abraham - sono tutte caratterizzate da servizi carenti, infrastrutture inadeguate, scarsa illuminazione, strade dissestate e poco controllate. In molte aree non esistono strutture per accogliere le donne vittime di violenza. Un dato comune emerso dalle ricerche è che esistono pochissime leggi che proteggono le donne negli spazi pubblici delle città. La sicurezza delle donne non è tra le priorità sull’agenda di chi disegna e progetta centri e spazi urbani”. In Cambogia per esempio, dove ad essere trainante è l’industria tessile, il progetto si è svolto a Dangkor, periferia industriale di Phnom Penh, dove è localizzato un elevato numero di industrie: la percentuale di donne sugli impiegati è tra l’80 e il 90%. Donne per lo più tra i 18 e i 25 anni, nubili, immigrate dalle zone rurali e analfabete. I risultati delle interviste dimostrano che le donne subiscono violenze sul luogo di lavoro e nelle aree limitrofe alle fabbriche e la causa principale deriva dalle caratteristiche infrastrutturali del quartiere. Ana Paula Lopes Ferreira, coordinatrice del programma sui diritti delle donne di ActionAid Brasile, racconta il progetto nelle tre città dello Stato di Pernambuco (Brasile), uno dei più poveri e violenti del paese. “Siamo partite dal disegnare la mappa delle città: le donne segnalavano luoghi e percorsi pericolosi. Al calar del sole facevamo quel percorso e intervistavamo le persone incontrate per ascoltare la loro percezione sulla sicurezza. Mentre disegnavamo la mappa, erano le donne stesse e poi le comunità allargate ad offrire soluzioni per rendere quei luoghi più sicuri. Abbiamo intervistato assessori, consiglieri municipali e sindaci poi abbiamo organizzato incontri diretti tra comunità di donne e cittadinanza, un processo durato un anno”. “In Brasile, esiste una legislazione contro la violenza domestica, la Lei Maria da Penha, mentre non esiste alcuna legge che protegga le donne negli spazi pubblici”. Il traffico di droga e armi genera paura e insicurezza per le donne, che hanno scarsa fiducia nei confronti delle forze di polizia, considerate inefficienti e corrotte e scarsamente preparate a far fronte ai casi di violenza di genere. Anche negli altri paesi, la metodologia, che prevede il coinvolgimento delle donne in tutte le attività, si basa su strumenti che vanno dalla osservazione del contesto e la raccolta dati all’individuazione di possibili risposte ai loro bisogni, favorendo quindi il protagonismo delle donne nell’identificazione di risposte politiche al problema della violenza.



FOTO di ActionAid

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