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Uomini o maschi in fuga da se stessi?

Uomini o maschi in fuga da se stessi?

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Iori Catia Domenica, 27/04/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2014



Credo che sia importante per noi donne smettere di guardarci sempre tra di noi e cominciare invece a lanciare occhiate più attente all’altra parte dell’universo che in questo ultimo decennio non brilla di certo per particolare acume. Sono costretta volente o nolente per ragioni professionali a confrontarmi per lo più con uomini. o li vogliamo chiamare maschi? Vedo, specie sul lavoro, il riemergere diffuso di un’arroganza maschile, non solo nei nostri confronti ma tra loro stessi. La competizione, la crudeltà, il disprezzo, la concorrenza spietata, l’umiliazione dell’avversario continuano a rappresentare uno dei tratti costituitivi della maschilità. Possono variare i modi, più o meno brutali, ma in ogni caso l’esibizionismo, il narcisismo più volgare, la superficialità continuano a prosperare. Tali atteggiamenti, sostenuti dai media, costituiscono un modello pedagogico che incita ad essere rissosi, a sopraffare senza regole pur di primeggiare. L’educazione maschile attualmente disseminata sostituisce alla onestà, alla trasparenza, ad idealità per il bene comune, il disprezzo aperto per la giustizia; la prevaricazione, agli ideali di tolleranza e solidarietà; la cultura, al trionfo acclamato dell’ignoranza. Guardate al mondo politico o semplicemente alle nicchie di imprenditori alle prese con una delle più devastanti crisi economiche che le nostre generazioni abbiano mai vissuto. Non esiste solidarietà di nessun tipo. Né la volontà di confrontarsi civilmente sul proprio futuro considerandoli più o meno equipaggio della stessa imbarcazione. Ognuno rema o naviga individualmente come se potesse portare a casa frutti tutti suoi o celare segreti agli altri. In maniera assolutamente autistica. Guardate al naufragio delle associazioni di categoria, ai partiti, alle appartenenze sociali: sembra che non abbiano più nulla da dire né a se stesse né agli aderenti. Conosco solo un paio di uomini, un intellettuale e un artigiano che amano guardarsi dentro, riflettendo sul proprio percorso di vita, sui loro fallimenti familiari e sulla loro presunta incapacità di esprimere affetto. Tutti gli altri sono sempre dediti al fare utilitaristico, e quando si riposano o staccano migrano in paradisi lontani o in agriturismi sperduti mai capaci id esprimere un qualsivoglia pensiero compiuto anche critico su se stessi che pure gioverebbe tanto in questa epoca cosi vacillante e anonima. Sento ostilità diffusa ma non volontà di comprensione. Sento spietata delusione ma non desiderio di guardarsi dentro alla ricerca di risposte che ci sono ma che fanno fatica a uscire. Credo che la dimensione profonda dell’essere di ciascuno di noi, in un certo qual modo li spaventi. In questo rigetto, in questo loro ossessivo occuparsi di sport, di gareggiare (nei modi più disparati), manifestano un’ansia di prestazione che non si estingue nemmeno in vecchiaia. Patetico è il tentativo di compensare la propria impotenza (anche sessuale) con la mitizzazione dei più dominanti e di successo tra loro. La conoscenza è vero non ci fa sempre contenti, ma sicuramente ci consente di percepire il nostro travaglio una fonte di vita. Nell’inquietudine indomita, nella solitudine cerchiamo perciò il nostro senso più disarmante e disincantato. I maschi, al contrario (basta osservarli andare a zonzo in bande giovanili o senili) sono in fuga dalla solitudine, perché non riescono a stare soli bene con se stessi. E se lo sono per scelta (in quanto atleti, alpinisti, cacciatori, ecc) comunque devono “fare” qualcosa che faccia intravedere loro il gusto della gara, della conquista tangibile, come singoli o raggruppati in casta, consorteria, squadra. È questo un maschile che la letteratura ha rappresentato più volte nella sua miseria, nella povertà intellettuale, nella mancanza di evoluzione personale, nella incapacità di vivere solitudini feconde lontane dai luoghi, dalle sequele, dagli interessi citati, che i maschi hanno bisogno sempre di spendere nella interazione conflittuale, o temporaneamente concorde, con i propri simili. Nel disprezzo di chi non è come loro.

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