Login Registrati
Uomini o bestie?

Uomini o bestie?

Mondo animale - La zooantropologia rifiuta la visione culturale antropocentrica

Stefania Friggeri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2008

Ne la “Mente animale” Enrico Alleva, scienziato con doti di narratore chiaro ed avvincente, ci documenta la “capacità sorprendente di alcune specie animali di comprendere gli stati emozionali degli esseri umani” e lo scambio vicendevole di “messaggi empatici basati su un’affettività che non conosce barriere zoologiche”. Ma Alleva si spinge oltre e cerca di riscoprire l’uomo che c’è nell’animale più che l’animale che c’è nell’uomo” ovvero, rispettando l’intuizione di Darwin del legame fra i due regni, pone differenze fra noi e gli altri animali, ma non differenze qualitative bensì differenze di grado. Ipotesi questa che è sorretta dalle prove sempre più numerose portate dagli etologi (gli scimpanzè ad es. sono in grado di creare strumenti e fare semplici calcoli matematici). Insomma, che vuol dire “mente animale”? vuol dire che l’animale è in grado di porsi obiettivi, di scegliere fra diverse opzioni, di risolvere dei problemi elaborando un piano d’azione, di conservare immagini mentali che attraverso la memoria lo aiutano a decidere, vuol dire - concludendo - possedere un laboratorio mentale nel quale prende corpo la soggettività di un essere provvisto di una mente. La zooantropologia infatti, riposta in soffitta la visione dell’animale privo di un mondo interiore e mosso dagli istinti come un burattino, rifiuta la visione culturale antropocentrica secondo la quale al centro dell’universo sta l’uomo creato da Dio a sua immagine e somiglianza, riscattato dalla natura bruta grazie all’anima immortale che ne fa un essere a sé (“l’uomo resta tra gli animali terrestri quello più spocchioso, perché il solo in grado di mettere per iscritto maldicenze sul conto degli altri abitatori del pianeta” scrive Alleva). Nella nostra cultura infatti è ancora diffusa l’immagine tracciata da Pico della Mirandola dell’uomo intermedio fra l’animale e l’angelo e da questo luogo comune, nato dal rifiuto inconscio della nostra natura animale, deriva la convinzione che l’uomo possa raggiungere la propria compiutezza solo se si ripulisce da qualsiasi affinità e contagio con le specie inferiori. Perché nell’animale l’uomo ha proiettato simbolicamente la parte malata di sé, come dimostra la fortuna di leggende e romanzi su vampiri e licantropi, o, nelle fiabe e nei proverbi, il lupo cattivo e altri simboli di pre-umanità ambigua e crudele. Per tacere di Lombroso che dalla fisionomia del volto deduceva i caratteri animaleschi dei malati di mente, da rinchiudere perché pericolosi come animali selvaggi. Mentre invece gli animali non uccidono un numero di prede maggiore di quello necessario per sfamarsi e, se combattono fra loro per difendere il territorio o potersi riprodurre, non uccidono mai l’avversario vinto che si allontana. E tuttavia, anche se oggi sempre più persone si indignano per lo sfruttamento e le torture cui vengono sottoposti gli animali per motivi di businness, fra gli umani non si è ancora generalizzato un atteggiamento rispettoso e davvero “umano” verso i loro fratelli. Ai quali ci unisce non solo il legame biologico dell’evoluzione naturale, ma anche il legame ontologico: l’uomo è quello che è (onto) grazie alla millenaria interazione col mondo animale al quale va riconosciuto un ruolo attivo nella costruzione della nostra cultura. Che non è nata nell’autarchia, nell’autosufficienza della specie umana, ma nella correlazione e nella dipendenza interspecifica, cioè nella reciprocità col mondo animale che da sempre è il nostro compagno di strada. O è un caso che si può misurare la diversità delle varie culture studiando come guardano al mondo animale, come lo rappresentano nell’arte, nella letteratura, nelle fiabe, nei miti, nella religione? Ma purtroppo, guardando a Roma, la forma di pensiero verticistica e gerarchica tipica di tutte le istituzioni di potere, non aiuta la Chiesa cattolica ad abbandonare la visione tradizionale del mondo animale e ad accettare le nuove ipotesi di lavoro della ricerca scientifica. Con la quale anzi è entrata in conflitto ritirando le parole di apertura di Wojtyla verso Darwin e stringendo l’occhio alla teoria del “disegno intelligente”. Quando invece avremmo bisogno dell’autorevolezza della parola pastorale per dare concretezza alla parola d’amore evangelica, allargandola a tutti gli esseri senzienti e, a loro modo, in grado di pensare. Stupisce infatti che nell’appello per il rispetto della vita l’autorità ecclesiale non spenda la sua forza pedagogica anche per condannare l’estinzione continua di decine di specie viventi, dovuta non alla necessità di sopravvivere della cosiddetta specie superiore, ma per pure ragioni di profitto.

(14 maggio 2008)

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®