Aprile 2011 - Questo numero lo dedichiamo agli uomini che si interrogano. O che cercano di farlo.
Bartolini Tiziana Lunedi, 04/04/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2011
Il terremoto è un evento naturale ed imprevedibile. Il margine di manovra a disposizione degli umani che intendono opporre una qualche sfida è assai limitato e spazia dalla costruzione di edifici a prova di sisma alla speranza nella tenuta delle strutture, dalla professionalità di chi le progetta all’onesta di chi le costruisce. Il sistema perfetto ed esemplare del Giappone in pochi minuti è stato spazzato via dallo tsunami, causato dal terremoto dell’11 marzo scorso, insieme ad alcune città e a migliaia di vite umane. Se serviva una nuova prova del nulla che siamo al cospetto della natura, l’abbiamo avuta. Le radiazioni rilasciate dalla centrale atomica di Fukushima a seguito dei danni provocati dalle onde anomale ne rappresentano una ulteriore, drammatica, certificazione. Non c’è il tempo per metabolizzare le immagini delle devastazioni totali che ha lasciato il mare, ritirandosi: la tensione e l’attenzione rimangono altissime nell’attesa, di ora in ora, di conoscere le proporzioni delle contaminazioni radioattive e i danni all’ambiente e alle persone. È un’apocalisse, lontana geograficamente, ma che ugualmente ci contamina la vita e l’anima.
Contemporaneamente accade proprio di fronte casa nostra, invece, che aerei da combattimento bombardino la Libia con la partecipazione dell’Italia. L’obiettivo sarebbe il tiranno Gheddafi - incredibile, lo stesso al quale pochi mesi fa sono stati tributati onori, fanfare, centinaia di donnine e l’autorizzazione a piantare abusivamente una tenda al centro della Capitale - ma intanto a crepare sono le popolazioni civili. Come nella migliore tradizione delle guerre preventive.
Questi drammatici e gravissimi accadimenti, pur nella totale diversità delle ragioni che li hanno causati - eventi naturali, incidenti tecnici, equilibri geopolitici ed economici - traggono la comune radice nel delirio di onnipotenza maschile, ovvero nell’incapacità maschile di dare un senso di finitezza alla propria esistenza e al proprio agire. Gli uomini, e soprattutto quelli che esercitano un qualsiasi potere o che vogliono mantenerlo o conquistarlo, vivono in una dimensione perennemente belligerante. Per questo non si pongono limiti e si relazionano al mondo e nelle situazioni come se fossero esenti dal rispetto dei confini imposti dalla logica, dalla ragionevolezza o semplicemente dall’accettazione ‘dell’impossibilità di’ o della ‘non opportunità di’ in funzione del bene comune. La voglia di avventura - talvolta smodata - che anima la ricerca e spinge chi studia verso nuovi territori fisici o della conoscenza non ha niente a che vedere con il cinismo della diplomazia che ignora i popoli a vantaggio delle élites o il calcolo dell’economia che favorisce il profitto e se ne frega dell’ambiente e dei diritti. La capacità di autolimitarsi, di non superare quella soglia è nella disponibilità dei viventi, solo che gli uomini troppo spesso non la vedono. O la ignorano. Per questo umiliano, picchiano e uccidono la loro donna e, allo stesso modo ed escludendo ogni ragionevole autolimitazione, mentre il Giappone brucia continuano a progettare centrali nucleari su cui si illudono di esercitare il controllo. Per quanto ancora possiamo tollerare tanta arroganza? Se gli uomini non cominceranno, davvero, ad immaginare e praticare un modo diverso di essere maschi e di costruire relazioni pubbliche e private, il mondo non potrà cambiare rotta. Se ai muscoli non sapranno sostituire il cervello e il cuore (senza vergognarsene), gli uomini continueranno ad essere inadatti a gestire poteri e a ripetere gli errori di millenni condannando tutto, tutti e tutte a subirne le conseguenze.
Qualche traccia di buon senso si intravede. Questo numero lo dedichiamo agli uomini che si interrogano. O che cercano di farlo.
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