Giuliana Dal Pozzo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2006
Gli uomini delle botte li abbiamo conosciuti nella loro realtà fenomenologica ed esistenziale, quando il secolo scorso viveva i suoi ultimi, affannati decenni. E’ successo perché la diga del silenzio femminile, che aveva retto per secoli è saltata e il dolore e le offese che si sopportavano in famiglia sono state rivelate a un Paese allibito. Gli uomini picchiavano le mogli e i figli - a volte anche le madri - per i motivi più diversi e più futili o addirittura senza motivo, contando sulla forza bruta dei loro muscoli. Le donne raccontavano alle associazioni femminili, alle sedi legali, ai telefoni contro la violenza, a tutte le strutture che si erano date. Storie tragicamente uguali e senza alibi per il colpevole: il popolo delle botte viveva al nord e al sud, aveva fatto solo le elementari o era laureato, disoccupato o direttore di banca, professore o magistrato.
Con il nuovo secolo pare che la violenza contro le donne abbia oltrepassato ogni limite immaginabile: si è registrata un’impennata di crudeltà nel mondo del crimine. Dalle botte al delitto, dal delitto al delitto con sfregio: questa pare essere molto spesso il percorso di un violento, a quanto si apprende dalla cronaca nera. Aumentano “gli uomini di coltello”. Accanto ai “delitti d’impeto” che concludono spesso un furibonda lite con un cuscino sulla bocca della vittima, una corda intorno al collo o un annegamento, ecco la macelleria dello sgozzamento, delle decine di ferite da cui sgorga sangue e così fino alla sepoltura quando la persona colpita, il più delle volte è un donna , respira ancora. Chi compie lo scempio sa che vuole infierire due volte, su un corpo umano da vivo e da morto. E che vuole essere vicino a chi muore, imbrattato dello stesso sangue. Troppo fredda e distante la pistola, troppo anonima e poco dolorosa ogni altra forma di delitto. E poi bisogna organizzarsi bene per riuscire nell’impresa di assassinare così cruentamente qualcuno e far sparire il cadavere, magari dopo averlo orrendamente decapitato. Ci vuole il coltello con la lama della lunghezza adatta, i sacchetti di plastica, un bosco vicino. Donne, negozianti come la gioielliera di Terracina, ragazzine che tornano da scuola, prostitute.
Per quei maschi che non sembrano ancora civilizzati, che alzano le mani contro le donne, che le stuprano e talvolta le uccidono, gli esperti parlano di molte cause sociali, politiche e psicologiche, a volte fuse insieme. Ma, dicono, è soprattutto la mutata personalità della donna, la conquista di leggi innovative, la sua sicurezza di non essere nata con meno diritti di un uomo, la possibilità di gestire la sua fertilità e di rinunciare a una famiglia in cui non è felice, che fa crollare le sicurezze maschili basate sul fatto quasi divino di essere uomo.
Forse è arrivato il momento di chiedersi: ”Allora che si fa”? Non toccherà ancora una volta a noi donne, discutendo, prendendo iniziative o inventando coinvolgimenti nuovi, fare richieste e pretendere risposte da chi ha a cuore l’educazione delle nuove generazioni, e farlo così bene come abbiamo fatto nel passato?
(21 luglio 2006)
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