Ecuador: viaggio nell’alleanza delle diversità / 3 - Hanno sempre un bambino sullo schiena, un fascio di legna, un sacco di patate. Responsabili dell’agricoltura, dell’allevamento, dei bambini, del cibo e dell’acqua; cucinano, tessono. Mettono al
camminano ondeggiando sugli immensi altipiani andini, spostando il peso del corpo da una gamba all’altra Hanno sempre un bambino sullo schiena, un fascio di legna, un sacco di patate. Nella loro società sono responsabili dell’agricoltura, dell’allevamento, dei bambini, del cibo e dell’acqua; cucinano, tessono. Mettono al mondo i figli in una casa col tetto di paglia e il pavimento di terra battuta, in silenzio vicino al fuoco; sono depositarie degli antichi rituali della quotidianità. Nel paese che si trasforma la maggior parte delle donne indigene vive cos,ì ma negli ultimi anni stanno riscoprendo il loro protagonismo.
Magdalena Aisabucha
“Il mio più grande rammarico è quello di non aver potuto studiare. Ma eravamo così poveri che mio padre è riuscito a farci frequentare solo la scuola elementare. Ho imparato tutto dalla mia organizzazione (movimento indigeno ndr) e sono orgogliosa di questo”. Magdalena Aisabucha dirigente del settore femminile dell’ ECUARUNARI – Confederazione dei Popoli di Nazionalità Kichua dell’Ecuador - si presenta come appartenente al popolo Tomabela del Tungurahua di cui fanno parte 32 comunità. “Sin da bambina ho cominciato a lavorare fuori casa e mi sono resa conto che le donne della mia comunità vivevano una discriminazione molto grande; lavoravano tanto ma non avevano ‘ni voz, ni voto’. Ho pensato che fosse giusto agire e formai un gruppo: avevo quindici anni. Siamo riuscite ad ottenere grandi risultati: portare avanti la costruzione di un canale d’acqua che arrivasse fino alla comunità e ci evitasse di percorrere tre ore a piedi per avere l’acqua potabile. Ci abbiamo messo 5 anni.” Ma le problematiche che affliggono la società indigena, e in particolare le donne, sono ancora aperte: “Le lotte della donna sono legate alla forte discriminazione che ha vissuto il popolo indigeno dal colonialismo in poi. In particolare le donne hanno vissuto in uno stato di servitù sociale, economica e, spesso, anche sessuale. In seguito a questo è rimasto uno stato di grande sottomissione anche all’interno della stessa comunità. Il lavoro che cerco di portare avanti è quello di coscientizzare le compagne soprattutto attraverso la formazione”. E la scommessa più innovativa che Magdalena Aisabucha, con le sue compagne dell’ECUARUNARI, sta portando avanti è la scuola di formazione politica per donne indigene intitolata a Dolores Cacuango[1] “dove offriamo corsi a chi già abbia dimostrato il suo impegno nella comunità, che abbia la coscienza dell’importanza di lavorare per la collettività. Chi viene ammessa ha bisogno del consenso del suo gruppo e ha, verso lo stesso, una precisa responsabilità. E’ fondamentale questo legame reciproco che garantisce che l’investimento fatto non vada disperso. L’importante è incoraggiare ed incentivare le donne ad uscire fuori.”
Norma Mayo
“Vivo nella mia comunità perché è da lì che traggo la mia forza. Sarei nulla senza la mia gente. Parto da casa alle 5 del mattino per venire a Quito a lavorare e torno alle 23”. Norma è l’incaricata nazionale della CONAIE – Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador – a seguire le politiche per le donne. Appartiene orgogliosamente al popolo Quechua Panzaleo; a 17 anni è già giornalista nella Radio Latacunga, contemporaneamente frequenta l’Università, lavora in un progetto di cooperazione con bambini e apre una scuola biligue (spagnolo-kichua) per i piccoli della sua comunità. In breve tempo diventa dirigente: “da lì non mi sono più fermata; il mio impegno è stato prima dipartimentale, poi provinciale e ora nazionale ma devo ringraziare la solidarietà femminile di mia madre e delle mie sorelle che si sono occupate dei miei figli e mi hanno permesso di impegnarmi nei miei studi e nel lavoro nel movimento”. L’attivismo precoce nasce da un’esperienza personale: “quello che mi ha motivato nella lotta per i diritti del popolo indigeno è la discriminazione che ho vissuto a scuola; era una discriminazione economica e culturale; era la mia povertà ma anche il fatto che non parlassi bene lo spagnolo. Mi sono detta che era necessario prepararsi al massimo non solo per me stessa ma per la mia società, per gli uomini e le donne della mia comunità. Anche mio padre è stato dirigente e ha seminato nel mio cuore la passione per il lavoro collettivo.” Attualmente ricopre, oltre all’incarico nazionale, un ruolo a livello sudamericano. “Il problema fondamentale delle donne indigene del continente, contro cui mi batto con forza, è la violenza intrafamilare, la mancanza di educazione e formazione, di salute: ancora si muore di parto per mancanza di denaro. Il guaio è che tutto questo ancora non è all’ordine del giorno nell’agenda politica. Stiamo facendo dei passi avanti con la nuova Costituzione ma bisogna ancora lottare”.
(20 aprile 2009)
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[1] Leader indigena che dedicò la sua vita a difendere il diritto alla terra e alla lingua per il suo popolo. E’ stata tra i fondatori della prima organizzazione indigena dell’Ecuador nel 1944.
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