Perù /2 - Secondo appuntamento con il diario di viaggio di Antonella Prota Giurleo, volontaria della Cgil, in terra peruviana.
Prota Giurleo Antonella Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2009
Dopo aver a lungo camminato nella selva e condiviso con le donne delle comunità indigene percorsi e pensieri Antonella si è spostata a Lima, grande metropoli, capitale del Perù, dove ha continuato ad intessere i suoi intrecci con universi lontani ma vicini al cuore.
“Le Invasiones sono le occupazioni organizzate di terra nelle vicinanze delle città. Inizialmente i gruppi familiari costruiscono una capanna con esteras (palizzate di bambù intrecciato che costituiscono le pareti nelle baracche) e materiali di recupero. Una volta ottenuta la proprietà della terra le persone si organizzano per trasformare la capanna in un’abitazione in muratura. Nella zona desertica del Perù, affacciata sul mare, crescono e crescono interi quartieri di abitazioni, dove la strada è sabbia e dove l’acqua, nelle invasiones più recenti, arriva con il furgone, una o due volte la settimana. I pallet donati alle ONG che qui lavorano, opportunamente schiodati, si trasformano in una grande capanna multifunzionale, luogo di riunione e di confronto per donne e per uomini, doposcuola per bambine e bambini, presidio sanitario, scuola di cucito. Sulla sabbia, qualche sasso delimita un piccolissimo pezzetto di terreno dove cresce un albero, un cespuglio di fiori. Dappertutto, bucati stesi ad asciugare. In un luogo desertico dove non piove mai, proprio mai; dove, in città, si devono lavare marciapiedi, pareti degli edifici, semafori e lampioni; in luoghi dove l’acqua è un bene di lusso, mi chino sulle bimbe e sui bimbi e sento profumo di sapone.
Nella zona di Villa El Salvador ho conosciuto la ONG Deporte y vida e a Tablada la ONG Minka Wasi. Ho visitato il loro laboratorio di sartoria dove le donne presentano con orgoglio i propri lavori (hanno cominciato due anni fa, con la macchina da cucire a pedale perché, allora, non c’era l’elettricità che oggi arriva perché la comunità ha pagato la linea), uno spazio di aiuto scolare per bambine e bambini (la scuola pubblica non offre garanzie sufficienti di preparazione e di sviluppo), un centro medico (dove vengono effettuate le visite e le medicine costano meno che nelle farmacie di città). Persino un centro di ascolto e di aiuto per le donne: tre pomeriggi alla settimana di presenza di persone con varie competenze (psicologiche, legali a diversi livelli, didattiche) per affrontare i temi portati dalle donne, e si tratta spesso anche di violenze.
In un paese che vede in vigore leggi ancora fujimoriste e molto lontane dal nostro pensare le leggi sul lavoro ho incontrato le donne di IPROFOTH, Istituto di promozione e formazione delle lavoratrici domestiche. Ho conosciuto Victoria, la matriarca, 71 anni, che ha incominciato a lavorare a 19, e Celia, Marcolina, Norma, Ernestina, Maria, Karina, Esperanza che mi hanno raccontato la loro esperienza e spiegato in cosa consista la loro attività. Nelle loro parole sento l’orgoglio e la forza di donne che hanno compreso a fondo la necessità di collegare il lavoro politico e il lavoro di base. In Perù è molto frequente che le ragazze, anche giovanissime e bambine, vengano date come aiuto domestico a delle famiglie ricche, a volte anche con la velata promessa di garantire un’istruzione. Tutto questo non è quasi mai vero e le ragazze si ritrovano a lavorare come domestiche 24 ore su 24. A questa situazione, al limite dei diritti umani, si aggiunge quella di molte donne che provengono dalla sierra o dalla selva e si recano a Lima nella speranza di trovare lavoro; la maggior parte di esse cerca un’occupazione nel campo della collaborazione domestica. IPROFOTH è nato proprio per occuparsi di queste ragazze cercando di aiutarle ad uscire da questa situazione a volte di vera e propria schiavitù. La loro chiave di volta è quella di insegnare alle giovani a dare valore alla propria persona, a prendere coscienza e ad organizzarsi. Nel 2003 è arrivata una conquista importante: una legge che fissa l’orario di lavoro, ferie, e salario minimo”. Cosa ti ha colpito di più di questa esperienza? “La relazione con il sindacato è molto forte. Le donne lo sentono come proprio, e dicono: ‘questo è il mio sindacato e mi aiuta’. Nella sede si svolgono molte attività: c’è un asilo, per l’assistenza ai figli delle lavoratrici, corsi di formazione sindacale e lavorativa, intrattenimenti, assistenza legale. La sede è aperta tutti i giorni ma è la domenica che si svolgono le attività collettive perché è l’unico giorno libero delle ragazze le quali, provenendo da aree del paese lontane da Lima, hanno bisogno di avere un luogo dove potersi ritrovare, stare con i propri figli e le compagne. Nell’edificio sono anche state strutturate alcune camere per offrire vitto e alloggio alle ragazze che, appena arrivate nella capitale, sono alla ricerca di lavoro. Penso con tristezza alle nostre Camere del Lavoro, chiuse alla sera e alla domenica, e ai gruppi di lavoratrici e lavoratori stranieri che, nelle città italiane, si riuniscono, in assenza di altri luoghi di ritrovo, nelle piazze o nei parchi, e magari vengono anche cacciati”.
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