Parliamo di Bioetica - Parlare di Unione Europea significa anche parlare di diritti ispirati dagli originari valori etici dei padri fondatori
Maria Antonietta La Torre Lunedi, 03/11/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2014
Le elezioni europee hanno avuto il merito di risvegliare l’attenzione per temi che negli ultimi anni erano scivolati in secondo piano, relegati a consessi intellettuali o, al più, giuridici. In un periodo di disinteresse e scetticismo verso la politica, accompagnato dalla crisi economica, le cui istanze sembrano prevalere su qualsiasi altra, l’Unione Europea è divenuta alquanto impopolare e percepita come un organismo vincolante e ostile. Il 9 maggio ricorreva la Festa dell’Europa, a celebrare la Dichiarazione di Schuman di 50 anni prima, considerata il documento che ha dato avvio al processo di unificazione, poiché dietro la proposta di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio vi erano ideali forti e non meramente economici, primo fra tutti la pace. Ma questo evento è passato pressoché inosservato. “Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche” si legge nella Dichiarazione, ma questo è un tema al quale siamo ormai poco sensibili, poiché le guerre sono quasi sempre “altrove” e appaiono (assurdamente) meno importanti rispetto alle urgenze quotidiane. È pur vero, tuttavia, che lo spirito originario risulta talvolta offuscato da una visione prevalentemente economicistica e dalle diffidenze reciproche, non del tutto superate, cosicché si perde di vista il valore incomparabile e universale, il contributo speciale alla storia dell’umanità del processo per cui potenze in continua guerra tra loro hanno costruito una collaborazione e addirittura una comunità. Insomma, un esempio per il mondo intero che però ora politiche miopi, interessi di parte, un capitalismo malinteso e artificialmente finanziarizzato, rischiano di vanificare. Diamo spesso per scontate la pace e la stabilità che l’Unione rappresenta in un mondo ancora in lotta e il dibattito si concentra principalmente sui mezzi per portare a compimento l’Unione dal punto di vista economico e monetario, mentre assai minore interesse si manifesta, sui media e nei dibattiti, per altri temi sensibili come ad esempio quello della salute. In realtà, parlare di Unione Europea significa anche parlare di diritti, ispirati dagli originari valori etici dei padri fondatori, e questo è un interesse comune e primario. Pochi sanno, ad esempio, che, tra le altre, vi è anche un’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, che ha sede a Vienna, e che il lavoro congiunto dei rappresentanti dei diversi Stati dell’Unione ha prodotto per tutti i cittadini europei un enorme progresso nei diritti riconosciuti e rivendicabili. L’Anno europeo dei cittadini del 2013 è stato dedicato proprio ai diritti che si acquisiscono con la cittadinanza europea e nel 2014 ancora molte iniziative sviluppano questo tema. Nel marzo 2013 la Commissione europea ha pubblicato un documento sulla salute pubblica dal titolo “Migliorare la salute di tutti i cittadini dell’UE”, in cui si individuano alcuni nodi cruciali su cui occorrerebbe concentrare gli sforzi e indirizzare le politiche e che riprendono e approfondiscono gli obiettivi di Lisbona. Si promuove ad esempio la sostenibilità nell’ambito della sanità, intesa come ottimizzazione delle tecnologie sanitarie innovative, che devono essere rese disponibili per tutti i cittadini europei. Si prende atto dell’invecchiamento della popolazione, indicandone le conseguenze per la sanità e rilevando che l’aumento dell’aspettativa di vita non ha per ora generato anche un aumento del tempo di benessere e salute per tutti. Si impegna l’Unione a ridurre l’incidenza delle malattie per le quali sono già disponibili tecniche di prevenzione. Si sollecita una politica comune in materia di salute pubblica per ridurre le disuguaglianze ancora rilevanti. E ancora, si richiama a una vigilanza sui problemi nuovi che le stesse tecnologie biomediche innovative sollevano e sulla sicurezza sanitaria, anche in relazione ai rischi per la salute che provengono da agenti transfrontalieri e ai pericoli ambientali. Tra gli “agenti transfrontalieri” vanno annoverati gli organismi geneticamente modificati, come già avvertiva il Protocollo di Cartagena (2000) sulla biosicurezza (derivato dalla Convenzione sulla Diversità Biologica adottata a Rio nel 2002), che poneva l’obiettivo della protezione della biodiversità dai rischi derivanti dal trasferimento, dalla manipolazione e dall'uso degli organismi geneticamente modificati ottenuti con le moderne biotecnologie. Una politica comune relativamente alle coltivazioni geneticamente modificate è essenziale per tutti i cittadini europei e andrebbe davvero rafforzata al di là degli interessi dei grandi potentati agroalimentari. Se per lungo tempo l’Europa ha resistito all’”invasione” delle sementi ogm, anche a costo di pagare multe salate comminate dal WTO per ostacolo al libero commercio, ora sembra che, a dispetto dell’opinione pubblica, prevalentemente contraria, si stia aprendo qualche breccia. Nel giugno scorso un nuovo accordo tra gli Stati membri per la prima volta ha stabilito che ciascuno di essi avrà il diritto di decidere se consentire o meno la coltivazione di ogm sul proprio territorio, indipendentemente dalla preventiva autorizzazione della Commissione Europea. Spagna, Portogallo, Romania stanno già da tempo aumentando le loro produzioni ogm e c’è da supporre che tale accordo favorirà l’ulteriore estensione. Si tratta di una questione essenziale per la salute comune dinanzi alla quale rassegnarsi all’inevitabilità della contaminazione e all’impossibilità di vietare l’importazione, significa derogare a una piena tutela della salute di tutti e alla reale partecipazione dei cittadini europei alle decisioni che li riguardano.
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