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Una vedovanza collettiva

Una vedovanza collettiva

Terrorismi di ieri e di oggi - Licia Pinelli e Gemma Calabresi, divise per quarant'anni dalla “politica della morte dei mariti”, invitate dal Presidente della Repubblica si sono incontrate nella giornata della memoria per le vittime del terrorismo

Giancarla Codrignani Martedi, 02/06/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2009

Quando si istituisce una nuova celebrazione bisognerebbe cancellarne una di cui si è perso il significato: entra la giornata della memoria? esce il 4 novembre con la "vittoria" del 1918... Soprattutto sarebbe necessario fare promozione al "senso" del memorizzare. Se si facesse davvero "memoria", sarebbe, per esempio, impossibile introdurre nella celebrazione della Resistenza i morti di Salò. Che i fascisti credessero nella loro causa dovrebbe essere un'ovvietà. Per questo la pietà umana destina il 4 novembre a " tutti" i morti, compresi Attila, Bava Beccaris e i fascisti. Il 25 aprile no: quel giorno è sacro a chi è morto per la "liberazione" dagli orrori del fascismo e del nazismo in nome della democrazia e contro la dittatura. Questa è la memoria da trasmettere.

I valori simbolici, infatti, debbono toccare nel profondo per avere senso. Sabina Rossa, nipote del sindacalista Guido Rossa ucciso dalle Br, si è fatta promotrice della "giornata della memoria per le vittime del terrorismo", fissata per il 9 maggio, anniversario dell'assassinio di Aldo Moro. Quest'anno il presidente Napolitano ha dato grande forza alla ricorrenza che poteva apparire ripetitiva. Il simbolo si è fatto concreto in due donne invitate a rinnovare la storia: Gemma Capra, vedova di Luigi Calabresi, e Licia Rognini, vedova di Giuseppe Pinelli, vittime della stessa violenza e divise per quarant'anni dalla politica della morte dei mariti. Una lezione che aiuta a dissipare equivoci.

Equivoci che, proprio nelle vicende recenti, persistono e dividono sull'onda della cosiddetta buona fede. Le immagini giornalistiche delle due vedove e la visibile emozione del Presidente della Repubblica Napolitano hanno recuperato al meglio il simbolo sia di una speranza di giustizia che si rinnova, sia del non-senso dei quarant'anni perduti.

Questa memoria non contrappone più, ma ha unito: la vedova dell'anarchico che è volato giù - non sappiamo davvero come - dal balcone della questura di Milano e la vedova del poliziotto ucciso dalle Br - perché ritenuto responsabile di quella morte - ci interrogano a partire dal dolore di essere vittime. La tragedia degli anni di piombo è sembrata farsi chiara proprio nel dolore: gli anni erano difficili, ma il piombo fu follia. Perché, comunque, chi sparava viveva in democrazia. Faticosa, come è sempre stata nella storia della Repubblica, ma guidata da governi assolutamente - lo sguardo retrospettivo di oggi ne rende ancor più ragione - democratici. Ideologie impazienti premevano sul sistema e indussero non pochi e non solo giovani e sprovveduti ad accettare, per chiacchiere o di fatto, la lotta armata, Si arrivò all'uccisione di Aldo Moro (e ad altre decine e decine di morti) e ai molteplici, perduranti sospetti di insidie ancora oscure perpetrate a danno della democrazia. Non erano partigiani che attaccavano i nazisti e le Brigate nere; non erano neppure "compagni che sbagliano" perché la violenza disposta a portare le armi contro lo Stato e i suoi rappresentanti e funzionari “non è errore”.

Il problema di verità è, tuttavia, oggi come sempre, sulla violenza. Ci sono ancora "irriducibili" in galera che beneficiano del regime democratico dei permessi, ma ci sono anche scritte sui muri che sembrano replicare la follia che innescò già una volta delitti, repressioni, peggioramento delle istituzioni.

Che memoria fare della morte di Pinelli, di Calabresi, di Rossa, di Moro? Lo stato deve certamente ai cittadini trasparenza e giustizia, ma con Licia e Gemma abbiamo visto che tutti siamo rimasti vedovi.

Da piazza Fontana, Brescia, Bologna fino alla trama ancora in atto della P2 l'eversione della destra aveva mostrato con chiarezza la volontà di condizionare lo sviluppo democratico con il ricorso alla violenza del terrorismo e gli attentati alle istituzioni. Che sia stato possibile un terrorismo di sinistra mostra quanto poco sia stato fatto per far agire la costruttività nei sistemi democratici a partire dalla formazione politica delle generazioni che crescono dopo eventi storicamente cruciali, ma che non hanno fatto parte della "loro" storia.

Licia e Gemma hanno sollecitato anche noi donne a ripensarci. Le discussioni sulle donne terroriste appaiono, alla distanza, semplicistiche. Molte femministe hanno mantenuto, anche inconsciamente, il ricordo delle esperienze giovanili negli estremismi radicali e continuano a non accorgersi di essere ancora dentro il rifiuto del "senso di realtà", che è, invece, come il "partire da sé" quando facciamo i conti di genere. Le donne hanno tutto il diritto, se lo vogliono liberamente, di diventare "uomini" e di assumere, tra le categorie tradizionali, anche quelle della violenza "necessaria" al raggiungimento dei fini: infatti alcune fanno tranquillamente le soldate. Nessuna, d'altra parte, ha mai sostenuto che le donne siano nonviolente "per natura": proprio la maternità fa dire ai figli “come ti ho fatto, ti distruggo” e l'infanticidio è da sempre la violenza delle madri. Poco tempo fa, in una "libreria delle donne", una di noi diceva: "io sono violenta e se mi dovessi trovare in situazione di pericolo spero davvero di riuscire a sparare e anche ammazzare per non essere fatta fuori". Può non piacere, ma è sincerità: in fondo per legittima difesa nessuna di noi sa come si comporterebbe. Ma la violenza armata attuata in contesti politici democratici non è la "legittima difesa", sia individuale, sia dei popoli. Avere al governo Pinochet in Cile o Andreotti in Italia fa la grande differenza. Oggi il discorso sulla violenza si è fatto più complesso a causa di quel terrorismo che chiamiamo islamico e che ha visto non poche donne diventare kamikaze e darsi morte per dare morte. Ancora una volta ubbidendo a una finalità assurda, destinata a peggiorare la situazione di chi crede di salvarla.

Come donne è più facile capire che con la violenza non si va da nessuna parte. E che, anzi, va prevenuta prendendosi cura dei problemi da risolvere con ragionevolezza e diplomazia respingendo la rabbia che porta alla spada. Siamo buone testimoni delle ragioni di Freud che imputava ogni violenza al mancato controllo delle pulsioni e faceva analogie un tempo scandalose fra arma e pene. La guerra fatta al nostro corpo è la più subdola delle violenze, perché non la si collega ad ogni altra guerra. Mi sembra "divertente" che in Kenya, davanti alla previsione di nuovi conflitti di cui l'instabilità politica è già la premessa, le donne abbiamo attuato la protesta di Lisistrata, lo sciopero del sesso a cui hanno aderito anche le prostitute. Va bene che qualcuno si è rivolto alla giustizia perché vuole il risarcimento, ma è un segnale che fa riflettere, non solo perché è stato pensato in Africa, ma perché allarma in modo assolutamente nonviolento sui pericoli della violenza civile.





(1 giugno 2009)

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