Venerdi, 27/01/2017 - Una storia mi riaffiora alla memoria
E’ il 27 di gennaio, giornata della memoria, e una storia riemerge dai miei ricordi, una storia da scrivere in poche righe come parole ma dalle infinite sfaccettature, infiniti significati e valori e che ogni volta che ci penso non finisce di darmi un'emozione forte, anzi fortissima, e a evocarmi il senso del rispetto e dell’importanza della memoria.
Lavoravo, allora, saranno passati almeno venti anni, alla Confederazione Italiana Agricoltori come responsabile delle imprenditrici agricole. Un lavoro affascinante dove incontravo costantemente l’incrocio tra umanità e professionalità delle donne e dove mi si offrivano momenti di impegno intenso nel merito del settore e angoli di incontro affascinante con le persone e le loro vite. E allora: era un giorno d’inverno e davanti a un caminetto dopo un pranzo di alta qualità contadina, insieme ad altre 5 donne; la mamma dell’agricoltrice di cui eravamo ospiti, in una provincia d’Italia che per rispetto (capirete poi) non dico, sulla base di uno stimolo dei nostri discorsi, che in verità non ricordo, uscì dal silenzio in cui era stata fino a quel momento e raccontò!
"Era il 43 e io, in verità lo dico ero una gran bella ragazza, e un fascista importante mi fece la corte, non fui disponibile a stare con lui .. qualche tempo dopo in un rastrellamento fui presa dai tedeschi e deportata a Dacau. L’accusa era di essere coinvolta credo nella resistenza o qualcosa che non saprò mai davvero. Partimmo dalla nostra città in un bel gruppo. Mi ricordo che c’era l’intera famiglia ebrea di un dottore. Di quel gruppo sono l’unica ritornata, perché ero una contadina. Da contadina ero abituata al freddo e alla fatica e in grado di resistere davvero ad ogni sforzo fisico più di altri. Quando tornai incontrai l’uomo che mi aveva fatto la corte e che mi confessò di essere stato lui a denunciarmi per dispetto ma che mi chiedeva scusa perché mai pensava a quel risultato quando mi aveva denunciata. Io gli dissi che non m’interessava neanche di sapere e che ero viva e non ci parlai mai più". Finito il suo racconto non parlò più anzi si allontanò dal gruppo. Sua figlia ci disse stupita che era la prima volta che raccontava. Forse il calore del camino e l’atmosfera che si era creata l’avevano portata a quel momento intenso e drammatico della memoria che si era presentata in modo irresistibile. Qualche settimana più tardi chiesi per telefono a sua figlia se potevamo intervistarla per il nostro giornalino. Mi rispose che glielo avrebbe chiesto, ma era sicura che avrebbe detto di no e così fu e seppi sempre da sua figlia che di quell’argomento non volle parlarne mai più.
Sono passati tanti anni davvero e per l’età che aveva forse non c’è neanche più .. ma se potessi la vorrei ringraziare di quel momento in cui coi suoi ricordi ci ha raccontato e coinvolto più di qualunque lettura e ci ha passato il testimone di un racconto che va fatto, di una memoria che va tenuta viva.
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