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Una storia da non dimenticare

Una storia da non dimenticare

Gli Spartà che dissero NO al pizzo - Il 22 gennaio 1993 un commando di dieci uomini ha sterminato la metà della famiglia di Rita Spartà

Mirella Mascellino Lunedi, 03/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2014

Rita Spartà è una donna di 48 anni, di Randazzo, un paese alle pendici dell'Etna fra le province di Catania e Messina. Da vent'anni la sua famiglia è formata da solo donne: lei, la madre, Carmela Lo Castro, 65 anni e la sorella, Daniela, di 40 anni (oggi madre anch'ella). Il 22 gennaio 1993 un commando di dieci uomini ha sterminato la metà della famiglia di Rita Spartà: il padre Antonino, di 57 anni e i due fratelli Vincenzo di 27 anni e Salvatore di 20 anni. Erano pastori e si erano ribellati al pagamento del pizzo. Una vita che cambia per sempre quella di Rita. Da vent'anni lei, sua madre e sua sorella inseguono il processo che vede alla sbarra solo un colpevole, il quale ha persino ottenuto la revisione del processo. In quel giorno di gennaio del 1993, in contrada Stradella a Randazzo, il commando fece fuoco con dei fucili a pallettoni, sterminando i tre uomini Spartà. L'omicidio degli Spartà fu reso noto il 16 aprile 1997, quando Rita intervenne al Maurizio Costanzo Show, raccontando di avere denunciato gli assassini dei suoi familiari. Il processo non è ancora stato concluso, benché dopo le denunce, all'epoca, furono arrestati tre uomini, di cui solo uno è stato condannato all'ergastolo.

Rita è un'infermiera. Accetta volentieri qualche invito per donare la sua testimonianza, raccontando la tragedia che le ha cambiato la vita. A lei ho posto qualche domanda.



Come era Randazzo all'epoca dell'omicidio di tuo padre e dei tuoi fratelli? Si parlava di mafia?

Veramente no. La nostra vicenda ha acceso i riflettori sulla mafia a Randazzo. Tramite il nostro caso abbiamo cominciato a sentire parlare di alcuni clan, per esempio i Laudano, i Cappello, il clan dei Tortoriciani che hanno serie fondamenta nel mio paese che per posizione geografica funge da crocevia, unendo le province di Messina e Catania.



Quando pensi ai tuoi fratelli e a tuo padre, sei orgogliosa di loro?

Sono la nostra forza, la nostra speranza e il nostro stimolo per andare avanti. Pensare a mio padre, un uomo forte, e ai miei giovanissimi fratelli, non è facile ancora oggi accettarne la sorte che la vita ha riservato loro.



Ma c'era stato qualcosa che facesse temere la tragedia? Avevano paura?

Paura no. Era successo che avevano rubato i greggi, più di una volta, anche i mezzi in campagna. Probabilmente per intimidirli. Ma i miei familiari non avevano paura e non cedettero al pagamento del pizzo. Ci fu un episodio, per noi emblematico, ovvero mio fratello si accorse di un furto di un'auto e denunciò telefonando alle forze dell'ordine. Se avesse avuto paura non l'avrebbe fatto.



Voi avete paura, avete subito minacce dopo la denuncia?

Si, ma siamo andate avanti. Abbiamo denunciato subito e affrontiamo ogni giorno la realtà. Ci capita di incontrare gli assassini dei miei familiari che sono ancora liberi. Incrociamo i loro sguardi. Li vediamo per strada. Mia sorella, lavorando al comune, è quella che se li ritrova spesso di fronte. Ma anche a me sono capitati dei brutti momenti, dovuti al loro incontro.



A tutte e tre domandiamo come si sopravvive a un dolore così grande?

É dura, si vive male. Ci fa sopravvivere la rabbia e la voglia di giustizia. Pensare alle vite spezzate dei nostri uomini è un dolore immenso. Io e mia madre scoprimmo la tragedia, quel pomeriggio di vent'anni fa e ci trovammo di fronte quella la scena terribile, come una doccia fredda. Eravamo andate a cercarli in campagna poiché non tornavano a casa e trovammo l'orrore. Abbiamo cercato di proteggere mia sorella che era la piccola ed era la cocca di papà, ma non è stato semplice e forse non ci siamo riuscite. All'inizio ero soltanto io a seguire tutto da vicino, ma adesso siamo tutte e tre insieme, unite per avere giustizia.



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