Una sentenza esemplare per punire chi offende le donne in rete
Una sentenza della Corte d'Appello di Genova conferma la condanna di un sindaco che, nel 2017, sui social aveva diffamato la Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini.
Lunedi, 12/12/2022 - Di pochi giorni fa è la notizia che la Corte d'Appello di Genova abbia confermato la sentenza di condanna pronunciata nel 2019 dal Tribunale di Savona nei confronti di Matteo Camiciottoli, sindaco di Pontinvrea, accusato di diffamazione ai danni di Laura Boldrini allora presidente della Camera dei deputati. Oggetto della denuncia erano state le parole utilizzate dal sindaco leghista in un post su Facebook del 2017 ove, linkando un articolo e la foto di un ragazzo africano accusato di essere “il capo branco dei violentatori” di una donna, era stata esplicitata la seguente domanda: “Potremmo dargli gli arresti domiciliari a casa della Boldrini magari gli mette il sorriso....che ne pensate?”.
I danni all’epoca della sentenza di primo grado furono quantificati in 20mila euro per Laura Boldrini e 100 euro per ognuna delle associazioni costituitesi parti civili, ossia l’Unione Donne Italiane, Differenza Donna, Se non ora quando, Donne in rete e Centro per non subire violenza. Oltre a queste somme, Matteo Camiciottoli avrebbe dovuto pagare le spese processuali fissate in 3.500 euro per Laura Boldrini e 1.980 euro per ognuna delle cinque associazioni suindicate. Al riguardo fu importante che venisse legittimata in primo grado la costituzione di parte civile di tali realtà associative, in quanto portatrici dell’interesse sociale a che venisse tutelata la dignità della parlamentare quale bene comune a tutte le donne.
Si trattò, indubbiamente, di un efficace espediente che consentì al processo di primo grado di assumere una precipua valenza, che andava al di là della giusta rivendicazione di giustizia avanzata da Laura Boldrini, per attestarsi invece come una solidale richiesta di rispetto per ogni donna che vede riversare ingiurie, offese ed insulti su di lei, soprattutto per il tramite dei social. Vittima di gratuita diffamazione lei deve sapere che, nell’eventualità che si sobbarchi di un procedimento giudiziario, al suo fianco ci saranno associazioni che la supporteranno nelle proprie legittime richieste di condanna dei suoi calunniatori. L’intento alla base di questa offerta di solidarietà è proprio nell’indurre le donne diffamate a trovare il coraggio di denunciare, consapevoli che nelle more processuali non saranno sole.
La conferma in appello della condanna di primo grado assume ancora di più la doppia valenza propria della precedente decisione, quale il tenere ferma la condanna degli attacchi sessisti subiti da Laura Boldrini e nel contempo riconoscere il ruolo delle associazioni antiviolenza come tutelanti il correlato interesse collettivo a che nessuna donna sia oltraggiata senza ragione. La dignità femminile non sempre è scontato che venga riconosciuta e difesa nel suo giusto valore, perché anche nelle aule giudiziarie si tenta, a volte riuscendovi, di fare rientrare nella normalità le ingiurie e le offese al suo riguardo, facendole passare per scherzi o roba da buontemponi.
In tal senso sono più che chiare le parole dell’avvocata dell’ Udi Savona, Barbara Pasquali, che a commento della sentenza di secondo grado, in qualità di legale dell’ Udi nazionale costituitasi parte civile, ha affermato: “Questa sentenza conferma che quanto propalato sui social nel 2017 dal Sindaco di Pontinvrea è reato. Laura Boldrini non fu diffamata in quanto esponente politica, ma in quanto donna. Il fatto che, all'epoca, ricoprisse la terza carica dello Stato, è, semmai, un'aggravante. Ancora più odioso è il fatto-reato poiché a commetterlo è stato un Sindaco, che rappresenta una comunità. Dobbiamo combattere, oggi più che mai, chi vorrebbe "normalizzare" simili offese, come quelle subite dall'On.le Boldrini, facendole passare, appunto, per situazioni sdoganate ed accettate a livello sociale. UDI sarà sempre al fianco delle donne in battaglie giuste e di civiltà, come queste".
A Matteo Camiciottoli resterà comunque la possibilità di andare al terzo grado di giudizio, facendo ricorso in Cassazione ma, oramai, ben due precedenti giudiziari attestano il principio in base al quale offendere una donna non è ledere solo il suo bene personale alla dignità, bensì anche un bene collettivo difeso da tante realtà associative femminili italiane. Sarebbe augurabile che, proprio in virtù di questo riconoscimento, ci sia una maggiore e migliore sprone a che procedano a denuncia quante vedano riversare inopportunamente su di sé calunnie ed improperi. Indubbiamente anche una sentenza, oltre che a colpire un responsabile di comportamenti illegali, può assumere un’ulteriore valenza, quale invertire la rotta e considerare non più lecite dal punto di vista consuetudinario le offese e le ingiurie alle donne frutto di consolidati stereotipi sessisti. Un cambio culturale di non poco conto, che, se accompagnato anche dal riconoscimento della dignità femminile come un bene comune da tutelare, fa della sentenza di pochi giorni fa una tappa fondamentale nel fare divenire il nostro Paese più a misura di donna.
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